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martedì 3 marzo 2015

Gli errori del protezionismo (1/2) - la bilancia commerciale

Il protezionismo è una teoria economica che sostiene la necessità di proteggere le imprese "nazionali" dalla concorrenza di quelle "straniere". In pratica suggerisce di incoraggiare le esportazioni e di scoraggiare le importazioni tramite vari strumenti: restrizioni al commercio, dazi sulle merci importate e sussidi sulle merci esportate, svalutazione del tasso di cambio, etc. Infatti i protezionisti sostengono che la concorrenza delle imprese straniere danneggi quelle residenti in questo paese, impoverendone gli abitanti. Ma è proprio vero? 


Di questo argomento ne parlai a suo tempo sui siti Economia e Libertà e Rischio Calcolato con l'articolo "Contro il protezionismo", nel quale criticavo le affermazioni di Maurizio Blondet. Quello che scrissi allora (nel 2012) è valido ancora oggi e lo riassumo sinteticamente qui: 
  1. Il libero scambio beneficia tutti coloro che vi prendono parte (anche se vivono in paesi diversi). 
  2. La concorrenza (compresa quella internazionale) incentiva le aziende a migliorarsi. 
  3. La divisione del lavoro (compresa quella internazionale) incrementa la produzione di ricchezza. 
  4. Le esportazioni servono a pagare le importazioni. 
Sono affermazioni in linea coi principi di economia e, direttamente o indirettamente, le abbiamo già affrontate su questo blog. In particolare, vista la sua immediatezza nel confutare le teorie protezioniste, ritengo utile sottolineare l'ultimo punto. La domanda da porsi, in altre parole, è: per quale motivo un paese esporta le sue merci?

Consideriamo il modo in cui funziona il commercio tra due paesi - per esempio, USA e Giappone. Affinché Jiro (cittadino giapponese) possa comprare un prodotto americano, deve prima ottenere dei dollari. Deve dare a John (cittadino americano) una certa quantità di yen; in cambio, quest'ultimo gli cede una certa quantità di dollari. Dopodiché Jiro può usare quei dollari per comprare il prodotto americano che desidera.
Benissimo. Ma John cosa se ne fa degli yen? Non li può mangiare, non li può bere, non li può mettere nel serbatoio dell'automobile, etc. L'unico modo in cui può ottenere una qualche utilità [1] dalla valuta giapponese in suo possesso è usandola per comprare merci giapponesi. Solo così John ottiene un beneficio dal fatto di possedere quegli yen. 
Adesso aggreghiamo tutti i cittadini americani e tutti i cittadini giapponesi in due gruppi distinti, USA e Giappone. Quando Jiro compra un bene americano, gli USA stanno esportando in Giappone; quando John compra un bene giapponese, gli USA stanno importando dal Giappone. Dunque abbiamo dimostrato la seguente cosa: le esportazioni degli USA in Giappone sono utili solo quando servono ad importare beni dal Giappone. Le esportazioni servono a pagare le importazioni. Se attualmente un paese esporta più di quanto importa, prima o poi sarà suo interesse fare il contrario. 

Cosa accadrebbe se John non usasse mai gli yen in suo possesso, o addirittura se li distruggesse? Banalmente, l'effetto netto di questa storiella sarebbe quello di aver regalato un bene americano a un cittadino giapponese. Il Giappone avrebbe un bene in più, mentre gli USA avrebbero un bene in meno. Questo dimostra che non ha alcun senso logico voler esportare perennemente più di quanto si importa. La bilancia commerciale di un paese - cioè la differenza tra le sue esportazioni e le sue importazioni - può essere in attivo per un certo periodo di tempo, ma non ha senso tenerla perennemente in attivo tramite politiche protezioniste. Le politiche protezioniste, ostinandosi a mantenere in attivo la bilancia commerciale, regalano beni agli altri paesi (a spese del paese che le applica, ovviamente). 

Quindi qualsiasi proposta basata sui (presunti) benefici delle politiche protezioniste - per esempio, le "svalutazioni competitive" - è intrinsecamente fallace. Ammesso e non concesso che tali politiche possano stabilmente aumentare le esportazioni e diminuire le importazioni, ciò non sarebbe comunque una giustificazione logica per metterle in pratica. Tradotto in parole semplici: il protezionismo ci costringe a lavorare di più al servizio degli altri paesi, ma in cambio di una remunerazione minore [2]. Avevamo già notato questo tipo di fallacia ("faticare di più per ottenere meno") parlando del luddismo. 
Nella seconda parte di questa analisi vedremo un altro tipico errore dei protezionisti. Infine spiegheremo come mai persistano simili fallacie. 

CONTINUA

Weierstrass

[1] Ovviamente John potrebbe prestare quei soldi (per esempio) a un'azienda giapponese. Ma, alla scadenza del prestito, il "problema" si presenterebbe di nuovo: cosa fare degli yen in suo possesso? 

[2] Se un paese esporta di più, significa che sta inviando più beni all'estero - cioè sta dedicando una maggiore quantità di lavoro al fine di soddisfare i consumi degli altri paesi. Inoltre, se un paese importa di meno, significa che sta ricevendo meno beni dall'estero - cioè gli altri paesi dedicano una minore quantità di lavoro al fine di soddisfare i suoi consumi. 

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