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venerdì 22 febbraio 2019

Tassi di cambio e unioni monetarie (1/3) - introduzione

La crisi dell'eurozona degli anni passati ha riaperto il dibattito su quale sistema valutario sia meglio adottare da parte di un sistema di Stati indipendenti. O viene adottata una moneta unica per tutti (unione monetaria) o ciascun paese gestisce la propria valuta; in quest'ultimo caso, le diverse valute possono essere legate tra loro da tassi di cambio fissi o, al contrario, da tassi liberi di variare nel tempo. Oggi descriveremo le caratteristiche principali di questi tre sistemi, mentre nella seconda parte di questa trattazione li metteremo a confronto in determinate situazioni. Infine, nella terza parte, entreremo nel merito del dibattito italiano sulla moneta unica.



Dal momento che esistono valute diverse, esistono anche tassi di cambio tra di esse. Per esempio, il tasso di cambio del dollaro in euro (attualmente 0.87 €/$) è il prezzo di 1 dollaro espresso in euro. Come tutti i prezzi, dipende dalla legge della domanda e dell'offerta: se aumentano la domanda di dollari e l'offerta di euro sul mercato valutario, aumenta anche il prezzo del dollaro rispetto all'euro; viceversa, un calo nella domanda di dollari e nell'offerta di euro fa calare anche il suddetto tasso di cambio.
In un sistema di cambi flessibili, i tassi sono (appunto) liberi di variare in base alla domanda all'offerta, anziché essere stabiliti dai Governi. Vediamo in che modo. Quando una persona vuole importare beni dall'estero, deve vendere la propria valuta in cambio di quella necessaria ad acquistare quei beni. Chi vuole acquistare beni giapponesi, per esempio, deve convertire i propri euro in yen, così da poter pagare l'azienda giapponese che li produce [1]. Perciò le importazioni aumentano l'offerta della propria valuta ed aumentano la domanda di quella altrui, abbassando il tasso di cambio della prima rispetto alle seconda. Viceversa, quando un paese esporta beni verso gli altri, tende ad aumentare il tasso di cambio della sua valuta. Mettendo insieme le due cose, abbiamo che i tassi di cambio dipendono dalla differenza tra le esportazioni e le importazioni (la bilancia commerciale) di ciascun paese. Ma non solo da questo fattore! Le persone possono convertire i propri soldi in valuta estera per altri motivi, come fare investimenti all'estero o mettere al sicuro i propri risparmi da tasse e svalutazioni.
Un altro fattore molto importante è infatti la politica monetaria, ovvero le operazioni della Banca Centrale (BC) di ciascun paese. Ricordiamo che una BC può aumentare la quantità di moneta in circolazione e abbassare i tassi d'interesse (politica espansiva) oppure fare il contrario, riducendo la quantità di moneta e alzando i tassi (politica restrittiva). Una politica espansiva tende a produrre un calo del tasso di cambio, sia perché la moneta creata viene spesa (anche) per importare beni dall'estero, sia perché i risparmiatori possono trasferire i propri soldi nei paesi con tassi d'interesse più elevati. Viceversa, una politica più restrittiva tende a far rivalutare la moneta nazionale. Ovviamente dipende da cosa fanno gli altri paesi, in particolare se adottano politiche più espansive o più restrittive rispetto alla BC del paese che stiamo considerando.

Dunque, in un sistema di cambi flessibili, la valuta di un paese si apprezza o si svaluta in base a questi fattori. Non è così in un sistema di cambi fissi, in cui alcuni paesi si impegnano a convertire le proprie valute in quella di un paese di riferimento secondo tassi di cambio (appunto) costanti. Per esempio, gli accordi di Bretton Woods del 1944 prevedevano che le principali valute fossero ancorate al dollaro statunitense. Per mantenere la parità col dollaro, la BC di ogni altro paese doveva intervenire appena il proprio tasso di cambio accennava a cambiare. Se la lira si fosse apprezzata sul dollaro, la Banca d'Italia avrebbe dovuto aumentare la domanda di dollari emettendo (cioè creando dal nulla) una quantità maggiore di lire; viceversa, se la lira si fosse svalutata rispetto al dollaro, la Banca d'Italia avrebbe dovuto vendere le sue riserve di dollari in cambio di lire (e ridurre la quantità di lire in circolazione).
Quindi la BC del paese "ancorato" deve contrastare qualsiasi cambiamento nella domanda/offerta della propria valuta rispetto a quella di riferimento. Ciò limita indubbiamente la sua libertà d'azione. Se il paese di riferimento adottasse una politica monetaria espansiva, o se avesse un persistente deficit nella bilancia commerciale, la BC del paese ancorato dovrebbe a sua volta adottare una politica espansiva - anche qualora causasse inflazione elevata [2]. Viceversa, se il paese di riferimento adottasse una politica monetaria restrittiva, o se avesse un persistente surplus nella bilancia commerciale, la BC del paese ancorato dovrebbe a sua volta adottare una politica restrittiva - anche qualora causasse un calo dei prezzi (deflazione da domanda [3]). In generale, le esigenze del paese di riferimento possono non coincidere con quelle dei paesi ad esso ancorati.
L'unico modo per non rinunciare ad una politica monetaria indipendente consiste nel controllare i flussi dei capitali da/per il paese ancorato, ovvero nell'impedire di portare denaro fuori/dentro quest'ultimo [4]. Per esempio: se il paese di riferimento adotta una politica restrittiva ma quello ancorato non vuole fare altrettanto, quest'ultimo deve impedire ai suoi cittadini di investire all'estero i propri soldi e di importare beni da altri paesi. Si rende quindi necessario porre restrizioni ai prelievi di contante e ai bonifici, oltre che controllare le frontiere. La vendita e l'acquisto legali di valuta straniera vengono monopolizzati dallo Stato, che stabilisce chi può farlo e chi no [5]. Parallelamente è inevitabile che si crei un mercato nero della valuta straniera, con un tasso di cambio che - venendo determinato dalla domanda e dall'offerta - sia ben più basso di quello fissato dal Governo.



Questi concetti vengono sintetizzati con l'espressione "trio inconciliabile": non si possono avere contemporaneamente un libero movimento di capitali, un tasso di cambio fisso ed una politica monetaria indipendente. Di queste tre cose, ne possono esistere solo due contemporaneamente; la terza viene necessariamente esclusa dalle altre due [A1].
Allora perché un paese dovrebbe ancorare la sua valuta a quella di un altro? Anzitutto, perché è più semplice e comodo commerciare tra paesi che adottano la stessa moneta [6]. Gli agenti economici non devono preoccuparsi delle fluttuazioni di cambio, né devono munirsi di strumenti finanziari per ridurre tale rischio. Ciò riduce i costi di transazione e rende più appetibili gli investimenti tra i paesi coinvolti. Oltre a questi vantaggi, però, ci sono anche altre motivazioni. Talvolta i paesi esportatori adottano un cambio fisso in base a logiche protezionistiche, poiché non vogliono che la propria valuta si apprezzi rispetto a quella di riferimento [7]. Altri paesi lo fanno per garantire alla moneta nazionale la credibilità che le manca. Infatti un paese che opera continue svalutazioni subisce una serie di effetti negativi, alcuni dei quali già menzionati: inflazione elevata, fuga di capitali, difficoltà nell'importare beni necessari. Per uscire da tale situazione, bisogna che il Governo adotti stabilmente una politica monetaria (e fiscale [8]) più restrittiva. Per rendere credibile tale impegno - soprattutto di fronte alla possibilità che un Governo successivo cambi idea - un espediente è proprio quello di fissare il tasso di cambio con una valuta di riferimento. Ciò equivale a legarsi le mani nelle questioni di politica monetaria, aumentando così la fiducia di investitori e risparmiatori. Uscire dal cambio fisso per svalutare sarebbe certamente possibile, ma avrebbe anche degli effetti collaterali indesiderati (come infatti è successo), perciò si tratta di un'eventualità che nessun Governo prenderebbe a cuor leggero [9].

In alcuni casi, la crisi di credibilità della valuta nazionale è talmente grave (es. Ecuador dal 2000 e Zimbabwe dal 2009) da portare all'abbandono della stessa in favore dell'adozione diretta di una valuta "forte", come il dollaro statunitense. Si ottiene così un'unione monetaria, cioè una situazione in cui due o più Stati condividono la stessa moneta. Ovviamente ci sono anche altri modi in cui si può formare un'unione. Per esempio, tale decisione può essere presa in maniera multilaterale: Stati diversi si accordano per l'istituzione di una moneta unica (es. l'euro). La moneta unica offre infatti gli stessi vantaggi del cambio fisso (facilità negli scambi, riduzione dei costi di transazione) senza però richiedere l'implementazione dei meccanismi necessari al suo funzionamento. Se un paese ha un deficit commerciale verso gli altri, o se i suoi cittadini investono all'estero, il Governo e la sua BC non sono costretti a fare nulla. La politica monetaria è automaticamente la stessa per tutti i paesi: se i tassi d'interesse (a parità di impiego e di rischio [10]) fossero diversi, il risparmi affluirebbero verso il paese con i tassi più alti fino ad abbassarli al livello degli altri Stati. Mentre in un cambio fisso c'è il rischio che il Governo della valuta ancorata non voglia o non sia in grado di mantenere la parità con la valuta di riferimento, un'unione monetaria aggira completamente il problema.
Certamente esiste la possibilità che uno Stato decida di ritirarsi dalla moneta unica, ma si tratterebbe di un evento complesso e traumatico. Preparare l'uscita richiederebbe tempo [11], durante il quale sarebbe impossibile mantenere segreto tale proposito. Quindi, appena note (o semplicemente sospettate) le intenzioni del Governo, i cittadini correrebbero a ritirare i propri soldi e/o a trasferirli all'estero, facendo collassare il sistema bancario. Il Governo potrebbe introdurre draconiani controlli di capitali, che però farebbero crollare consumi e produzione, oltre a creare notevoli disagi quotidiani ai cittadini. La crisi greca del 2015 ne è un buon esempio. L'unico modo per uscire ordinatamente da una moneta unica consiste nel proporre - in maniera credibile - una politica monetaria altrettanto [12-13] o più restrittiva di quella che si sta abbandonando.


In conclusione, oggi abbiamo descritto le caratteristiche principali dei tre possibili sistemi valutari (cambio flessibile, cambio fisso, unione monetaria). Ne abbiamo parzialmente illustrato i pro ed i contro, cosa che approfondiremo maggiormente nella seconda parte di questa trattazione.

CONTINUA

Aggiornamento (21/07/2019): su suggerimento di un lettore, abbiamo aggiunto la nota [A1] per citare un esempio storico riguardante il "trio inconciliabile".

Weierstrass 

[1] Nel caso di acquisti tramite intermediari, sono gli intermediari stessi a fare la conversione sul mercato valutario. 

[2] Ricordiamo che creare moneta e metterla in circolazione tende ad alzare i prezzi. E' una conseguenza della legge della domanda e dell'offerta: se la nuova moneta aumenta la domanda di qualcosa (beni, servizi, titoli finanziari, valuta straniera, etc), ne aumenta il prezzo. In particolare, quando la maggiore domanda si rivolge ai beni e ai servizi in vendita, si ottiene inflazione. Quest'ultimo è proprio il risultato desiderato dalle BC, che nei paesi sviluppati cercano di generare un tasso d'inflazione annuale basso ma positivo, di poco inferiore al 2%.

[3] Si consideri che - limitatamente al breve periodo - una politica monetaria espansiva può "stimolare" la crescita economica, mentre una restrittiva può ridurla. La questione andrebbe discussa più approfonditamente ma, semplificando, la prima ha l'effetto di una droga (euforia iniziale e successiva depressione) mentre la seconda ha l'effetto opposto (depressione iniziale e successivo aumento della produzione). Nel
lungo periodo, però, l'effetto totale è nullo o spesso negativo.


[4] Anche se, in pratica, tali controlli vengono adottati solo per impedire le fuga dei capitali dal paese ancorato. Questo perché ogni paese ancorato vuole evitare di adottare politiche monetarie restrittive, mentre accetta di buon grado di adottare quelle espansive. 


[5] Un'azienda che abbia bisogno di importare (per esempio) materie prime deve ottenere un permesso dal Governo. E' facile immaginare quali e quanti fenomeni di corruzione o clientelismo possano generarsi da tale scenario. 


[A1] La crisi asiatica del 1997 è un classico esempio delle conseguenze derivanti dal "trio inconciliabile". Per semplicità, consideriamo solo il caso della Thailandia. Dal 1985 al 1997 il paese asiatico agganciò la propria valuta (il baht) al dollaro statunitense. Poiché i capitali erano liberi di muoversi, inizialmente il cambio fisso e gli elevati tassi d'interesse thailandesi (maggiori di quelli americani) ne fecero affluire una gran quantità; questo portò anche alla formazione di una bolla economica. Nel giro di pochi anni, la situazione cambio radicalmente: il rialzo dei tassi statunitensi dal 3% al 6% (1994) causò lo scoppio della bolla ed il progressivo ritiro dei capitali stranieri; quest'ultimo, assieme al persistente deficit thailandese nella bilancia commerciale, contribuiva inoltre a ridurre le riserve di dollari della Bank of Thailand (BoT). Nel 1997 la BoT aveva quasi del tutto esaurito tali riserve, quindi restavano due sole opzioni: alzare ulteriormente i tassi d'interesse o abbandonare il cambio fisso. Poiché l'economia del paese era entrata in recessione, si preferì la seconda opzione, ovvero lasciar svalutare il baht. In sostanza, dal 1985 al 1997 la Thailandia cercò di tenere insieme il cambio fisso, la libertà di movimento dei capitali ed una politica monetaria (pressoché) indipendente; alla fine, però, fu costretta a scegliere tra allineare la propria politica monetaria a quella americana ed abbandonare il cambio fisso. 

[6] E' il motivo per cui si usa la stessa valuta all'interno di un paese: se ogni regione o provincia avesse una sua moneta, gli scambi sarebbero più difficili o comunque più complicati. 

[7] Se la valuta di un paese si apprezza, tendono a diminuire le sue esportazioni e ad aumentare le sue importazioni. 


[8] Di solito, una politica monetaria troppo espansiva è conseguenza di deficit di bilancio eccessivi, che richiedono (appunto) di essere finanziati tramite creazione di moneta. Ridurre il deficit e smettere di monetizzarlo diventano quindi condizioni necessarie per riportare la politica monetaria alla normalità. 


[9] Si consideri cosa accadrebbe con i debiti denominati nella valuta di riferimento e contratti da soggetti pubblici e privati residenti nel paese ancorato. Quest'ultimi dovrebbero ripagare con moneta svalutata il debito contratto in valuta forte, cioè si troverebbero con un debito effettivo maggiore da onorare. Non a caso, il Governo solitamente dichiara il default sul debito emesso in valuta forte. 


[10] Nel caso dell'euro, per esempio, i tassi d'interesse sui titoli di Stato dell'eurozona si uniformarono durante i primi anni 2000. A parità di rischio, i titoli di Stato dovevano avere lo stesso rendimento - e così è stato. A seguito della crisi finanziaria del 2007-08, invece, il rischio di insolvenza sui debiti dei singoli paesi è cambiato. Debiti più rischiosi devono pagare interessi più elevati, quindi è iniziata la crescita del famoso spread rispetto ai titoli di Stato più sicuri dell'eurozona, cioè quelli tedeschi. 


[11] Anche solo per stampare le nuove banconote, coniare le nuove monete e distribuirle sul territorio alle banche. 


[12] Va da sé, però, che non abbia alcun senso cambiare valuta per poi mantenere la stessa politica monetaria. 


[13] Si consideri, per esempio, il caso della Mauritania. Nel 1973 il Governo decise di abbandonare il franco CFA (garantito dalla Francia) sostituendolo con l'ouguiya mauritana. Il cambio col CFA venne inizialmente fissato 1 a 5 (1 MRO = 5 XOF) e, tra alti e bassi, rimase pressoché stabile fino al 1986. Anzi, nel 1983-84 l'ouguiya si apprezzò quasi a 7 franchi CFA. Quindi l'uscita dalla moneta unica fu resa possibile dalla promessa (mantenuta per circa un decennio) di non svalutare la nuova moneta rispetto a quella vecchia. 

5 commenti:

  1. Potresti trattare il tema della globalizzazione e del commercio internazionale? Una sorta di serie simile a questa dove spieghi il perché non si tratta di "concorrenza sleale" e dove ne esponi i vantaggi. Sarebbe interessante. Grazie.

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    1. Volentieri!
      Qualche concetto simile lo avevo scritto anche qui ( http://ride-bene-chi-ha-buon-senso.blogspot.com/2015/03/gli-errori-del-protezionismo-1-la.html ).

      PS: non mi sono scordato delle altre tematiche che mi avevi suggerito! Sono in cantiere ;-)

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Se posso dare un suggerimento sarebbe interessante citare un esempio concreto dell' applicazione del trilemma, che so magari argomentando il famoso mercoledì nero del 1992, o il caso della Cina quando dovette sganciare lo yuan dal dollaro

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    1. Suggerimenti come questo sono graditissimi, grazie!
      Ne avevo accennato alla nota [10] della seconda parte, ma in effetti potrebbe essere opportuno fare un esempio pratico subito dopo la "teoria". Penso che a breve farò un'aggiunta a questo testo.

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