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mercoledì 29 luglio 2015

Inflazione e crisi petrolifere - il mito

Durante gli anni '70 si ebbe un aumento del tasso d'inflazione in quasi tutti i paesi. In accordo con la nostra precedente analisi, la causa di ciò fu monetaria. Durante gli anni '60 la Federal Reserve (cioè la Banca Centrale americana) aumentò la base monetaria ad un ritmo sostenuto per aiutare il Governo a finanziare sia la Guerra del Vietnam, sia le nuove politiche di welfare proposte dal Presidente Johnson. Questo - tra l'altro - contribuì alla fine degli accordi di Bretton Woods [1] nell'agosto del 1971, lasciando mano libera per la creazione di moneta ad un ritmo ancora maggiore. L'inevitabile conseguenza di tali azioni fu un maggiore tasso d'inflazione (come si può notare dai seguenti grafici). Inoltre, per evitare che la propria valuta si apprezzasse (o si apprezzasse troppo) rispetto al dollaro americano, molti paesi adottarono una politica monetaria ugualmente espansiva - e perciò inflazionistica.  




Ma non tutti concordano con questa descrizione dei fatti. In particolare, alcuni sostengono che la maggiore inflazione degli anni '70 fosse dovuta alle crisi petrolifere di quel periodo: l'embargo delle esportazioni da parte dell'OPEC (ottobre 1973 - marzo 1974) ed il calo della produzione in seguito alla rivoluzione iraniana (1979 - 1983). In pratica, si sostiene che l'aumento del prezzo del petrolio abbia aumentato tutti gli altri prezzi. Tuttavia tale tesi può essere smentita sia dal punto di vista empirico, sia da quello logico.

E' generalmente accettato che una Banca Centrale (BC) possa evitare un calo del livello generale dei prezzi tramite l'aumento nella quantità di base monetaria. In effetti, l'esistenza delle BC viene giustificata proprio a causa della loro capacità di creare inflazione al tasso (più o meno) desiderato dai rispettivi Governi. Perciò, considerando che negli anni '70 ci fu un notevole incremento della base monetaria, non stupisce che quest'ultima sia stata la principale causa di inflazione di quel periodo. Che dire allora delle crisi petrolifere?
E' ragionevole sostenere che un calo nella produzione petrolifera - e perciò energetica - possa diminuire la produzione di altri beni. In fondo, l'energia serve (anche) a facilitare ed incrementare la produzione di svariati beni/servizi. Se tutti i beni diventano più scarsi, è lecito aspettarsi un aumento nel livello generale dei prezzi. Tuttavia il tasso d'inflazione annuale - per come è calcolato - aumenta solo durante i 12 mesi successivi a uno shock produttivo. Quindi, se le uniche cause inflattive di quegli anni fossero state le crisi petrolifere, ci sarebbero stati solo due picchi di inflazione elevata [2] - nel 1974 e nel 1979 (con qualche strascico nei primi anni '80). I seguenti grafici mostrano invece un periodo continuato di inflazione elevata [3].


Certamente si notano due picchi che potrebbero (il condizionale è d'obbligo [4]) confermare un contributo delle crisi petrolifere all'aumento dei prezzi - ma la "base" da cui emergono è significativamente elevata. Dal 1976 al 1979 - quando gli effetti inflattivi della crisi del '73 erano già conclusi e quelli della crisi del '79 non erano ancora iniziati - il tasso d'inflazione oscillò tra il 5 e l'8% negli USA, tra il 6 e l'8% in Canada, tra il 9 e il 10% in Francia, tra il 10 e il 14% in Grecia, tra il 10 e il 20% in Italia, etc. Nello stesso periodo di tempo - per avere dei termini di paragone - il tasso d'inflazione tedesco oscillò tra il 2 e il 4% su base annuale, mentre quello svizzero tra l'1 e il 2% [5]. Infatti Milton Friedman, nel capitolo 9 del libro Free to Choose, constata che:

Nei 5 anni successivi allo shock petrolifero del 1973, l'inflazione diminuì sia in Germania che in Giappone. In Germania dal 7 percento all'anno a meno del 5 percento; in Giappone da oltre il 30 percento a meno del 5 percento. Negli Stati Uniti l'inflazione raggiunse un picco circa del 12 percento un anno dopo lo shock petrolifero, diminuì al 5 percento nel 1976, e poi aumentò oltre il 13 percento nel 1979. Possono tali esperienze, così diverse, essere spiegate in termini di uno shock petrolifero che fu comune a tutti questi paesi? Germania e Giappone dipendono al 100 percento da petrolio importato, eppure nel ridurre l'inflazione hanno ottenuto risultati migliori degli Stati Uniti, che dipendono dal petrolio straniero solo al 50 percento, e del Regno Unito, che è diventato uno dei maggiori produttori di petrolio. Torniamo quindi alla nostra affermazione: l'inflazione è principalmente un fenomeno monetario, prodotto da un incremento della quantità di moneta più rapido di quello della produzione. 

Non solo. In molti paesi il tasso d'inflazione era elevato già prima delle crisi petrolifere. Consideriamo i dati mensili sull'inflazione annua italiana: da un minimo di 0.4% nel settembre 1968, il tasso d'inflazione annuo crebbe fino a superare il 10% nell'aprile 1973. Nel settembre 1973 (un mese prima dello scoppio della crisi petrolifera) il tasso d'inflazione era pari all'11.3% su base annua. Tale aumento dei prezzi, precedente agli shock petroliferi, era dovuto alla creazione di moneta da parte della Banca d'Italia [6]. Si possono trarre analoghe conclusioni consultando i dati relativi agli Stati Uniti: nel settembre 1973 il tasso d'inflazione era pari al 7.36% su base annua, in continuo aumento dal 3.41% del dicembre 1972. Stesso discorso coi dati tedeschi: si è passati da meno del 2% nel 1967 al 6% nel 1972. Etc. Analogamente, come notato poco sopra, il tasso d'inflazione di molti paesi aveva raggiunto valori elevati già prima della crisi del 1979.

In conclusione: sia i dati empirici, sia la logica economica smentiscono la tesi degli shock petroliferi come causa dell'inflazione elevata negli anni '70. In particolare, tale tesi è incapace di spiegare la presenza di inflazione elevata sia prima dell'ottobre 1973, sia nel periodo compreso tra le due crisi petrolifere; è inoltre incapace di interpretare la notevole differenza osservata tra i tassi d'inflazione dei vari paesi. Al contrario, la tesi riguardante la natura monetaria dell'inflazione è in grado di spiegare tutti questi fenomeni in perfetto accordo con la teoria economica. 

Weierstrass 

[1] Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale il dollaro era convertibile in oro (35 $ per oncia) su richiesta degli altri Stati. Se un paese straniero accumulava una certa quantità di riserve in dollari, poteva esigere dal Governo americano un'equivalente quantità di oro. La creazione di moneta da parte della Federal Reserve minava questo meccanismo, poiché parte dei dollari così creati andava a finire nelle riserve straniere. A fronte di crescenti richieste di conversione, e non volendo accettare la riduzione delle proprie riserve auree, il Presidente Nixon decise quindi di sospendere la convertibilità del dollaro. 

[2] Come ha scritto Milton Friedman nel capitolo 9 del libro Free to Choose: "Il calo nella produzione alzò i prezzi. Ma si trattò di un effetto una tantum. Non produsse alcun effetto duraturo sul tasso d'inflazione". 


[3] E' ovviamente arbitrario stabilire cosa si intenda per "inflazione elevata". Come termine di paragone, si può considerare l'obiettivo attualmente adottato dalle principali BC: 2% di inflazione all'anno. 


[4] Va notato che diversi paesi (tra cui Italia, Portogallo, Colombia, etc) presentano un terzo picco di inflazione nel periodo tra i due shock petroliferi. Non si può quindi escludere che anche gli altri due picchi siano dovuti totalmente o in gran parte alla creazione di moneta. Infatti c'è chi nega qualsiasi effetto inflattivo dovuto alle crisi petrolifere; si consideri, per esempio, questo paper di Robert B. Barsky e Lutz Kilian.


[5] Di contro, in vari paesi latinoamericani (Bolivia, Messico, Uruguay, etc) si ebbero gravi episodi di iperinflazione. Tali dati confermano la natura monetaria dell'inflazione di quegli anni: i paesi che crearono più moneta furono quelli che sperimentarono un maggior tasso d'inflazione. 


[6] Fino al 1981-1988 la Banca d'Italia poteva acquistare titoli di Stato direttamente all'emissione (cioè sul mercato primario). Inoltre dal 1975 fu obbligata per legge ad acquistare quelli rimasti invenduti. Poiché i Governi italiani dell'epoca aumentarono notevolente la spesa a deficit, la Banca d'Italia dovette monetizzare una parte consistente dei disavanzi pubblici - causando un pluriennale tasso d'inflazione a due cifre. 

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