Una delle critiche rivolte ai sostenitori del libero mercato è che quest'ultimo, per svolgere adeguatamente le sue funzioni, dovrebbe trovarsi in regime di concorrenza perfetta. Se non è così, bisogna (secondo alcuni) che lo Stato corregga le presunte storture del mercato, per esempio tramite politiche antimonopolistiche, oppure (secondo altri) cambiare sistema economico, adottandone uno più statalista.
Iniziamo col dire brevemente in cosa consista la concorrenza perfetta: una situazione ideale - formulata dalla scuola neoclassica di economia - in cui tante aziende producono lo stesso identico bene, in cui (eventualmente) altre aziende possono iniziare a produrlo senza ostacoli, e in cui compratori e venditori conoscono tutte le informazioni disponibili sul bene in questione. Chiaramente queste condizioni non si verificano, o non lo fanno del tutto, per la maggior parte dei beni in vendita, e da ciò origina la critica riportata nell'incipit.
L'errore di tale ragionamento, però, sta nella premessa: non è vero che, per funzionare, il libero mercato debba essere in concorrenza perfetta. Tutti i concetti alla base del libero mercato restano validi anche con una concorrenza imperfetta: uno scambio volontario è vantaggioso per entrambe le parti coinvolte; per fare il proprio interesse, l'imprenditore deve fare anche quello dei suoi clienti; le persone agiscono in base agli incentivi che ricevono; etc. Anche quando non si verificano le condizioni ideali sopra dette, il libero mercato rimane comunque un sistema migliore rispetto alle alternative stataliste (economia pianificata, proprietà collettiva dei mezzi di produzione, etc).
Tuttavia, pur ammettendo che sia il sistema migliore, alcuni sostengono che il libero mercato debba essere corretto dallo Stato al fine di renderlo più simile alle condizioni della concorrenza perfetta. In altre parole, si sostiene che l'economia di mercato possa e debba essere resa più efficiente dall'intervento statale. Confrontiamo allora il normale funzionamento del mercato con il modello neoclassico a cui i critici fanno riferimento.
Nel libero mercato, ciascun imprenditore cerca di capire quali siano i bisogni dei consumatori ed il modo più efficiente per soddisfarli. Inizialmente non conosce queste cose, le deve scoprire per tentativi. La concorrenza consiste nell'accontentare i clienti più di quanto facciano gli altri imprenditori, offrendo una migliore combinazione di qualità e prezzo [1], e nel promuovere i propri servizi. Lo sviluppo di nuovi prodotti e processi produttivi serve a sottrarre fette di mercato ai concorrenti (potenziali [2] o già esistenti). Il profitto conseguito dall'imprenditore dipende dalla sua efficienza nel soddisfare i bisogni dei clienti: quanto maggiore è la prima, tanto lo è la seconda.
Ovviamente colui che per primo individua una nuova soluzione a un bisogno economico si avvantaggia rispetto agli altri imprenditori. Egli ottiene un certo potere di mercato: può chiedere un prezzo più elevato - quindi ottenere un profitto maggiore - rispetto a quello che si formerebbe in presenza di altri concorrenti "alla pari" [3]. Il profitto così ottenuto è il premio per aver avuto la giusta intuizione ed aver corso il rischio di metterla in pratica, laddove nessun altro ha voluto o saputo fare altrettanto fino a quel momento. Tuttavia, la possibilità di ottenere profitti elevati spinge altri imprenditori a imitare il successo del primo arrivato, creando le condizioni per una successiva riduzione dei prezzi e dei profitti.
- La ricerca del profitto spinge gli imprenditori a soddisfare i bisogni dei clienti - concetto descritto dalla famosa espressione di Adam Smith, "la mano invisibile" [4] - e a trovare modi migliori per farlo.
- La concorrenza può essere attiva (p.e. migliorando la produzione di beni/servizi al fine di conquistare maggiori fette di mercato) o passiva (p.e. impedendo agli altri imprenditori di alzare i prezzi per paura di perdere clienti).
- Il sistema dei prezzi, dei profitti e delle perdite trasmette informazioni e aiuta l'allocazione delle risorse produttive, trasferendole verso i settori e i metodi di produzione che meglio soddisfino le esigenze dei consumatori.
Come sopra detto, a priori gli imprenditori non possono sapere le preferenze dei loro clienti, quantificare la futura richiesta dei loro prodotti o identificare il miglior metodo produttivo, quindi devono andare avanti per tentativi. Il ruolo dell'imprenditore consiste proprio nel fare questo tipo di scelte sulla base delle proprie esperienze e valutazioni, prendendosene la responsabilità. Profitti e perdite indicano quali tentativi hanno successo e quali no - un tipo di informazione che, altrimenti, non sarebbe accessibile [6].
Diagrammi che descrivono il comportamento di un generico settore (lato sinistro) e della singola azienda (lato destro), sia nel breve che lungo periodo (sopra e sotto, rispettivamente), in concorrenza perfetta. Nel breve periodo, l'azienda ottiene un profitto economico; nel lungo periodo, quest'ultimo si azzera grazie all'ingresso di nuove imprese nel settore. Il prezzo del bene diminuisce, la quantità totale prodotta aumenta, la fetta di mercato della singola azienda si riduce. Immagine presa da qui. |
- Per ciascun bene, esiste un gran numero di aziende produttrici, nessuna delle quali abbia il potere di influenzarne il prezzo. Quindi il prezzo di un bene viene recepito dalle imprese che lo producono, anziché essere deciso da esse in maniera indipendente.
- Tutti i produttori di un bene dispongono della stessa tecnologia produttiva, e i beni così prodotti sono identici per tutti i produttori.
- Non ci sono costi per entrare e uscire dal mercato.
- Tutti i compratori e i venditori dispongono di un'informazione completa (costo di produzione, prezzo, caratteristiche, etc) su tutti i beni in vendita.
In effetti, lo scopo di tale modello non è massimizzare la crescita, ma l'efficienza: dato un certo livello tecnologico, data una certa curva di domanda per il bene X, e così via, si ha massima efficienza quando un gran numero di produttori può entrare in quel determinato settore ed impiegare la tecnologia migliore, fino ad abbassare il prezzo verso il minimo valore possibile. Nulla però viene detto su come ottenere quelle informazioni, né su come migliorare il prodotto o la tecnologia a disposizione; paradossalmente, gli strumenti che il mercato impiega per gestire queste mansioni (profitti [10], pubblicità, vantaggi competitivi, etc) rappresentano "imperfezioni" da eliminare dal punto di vista della concorrenza perfetta. Perciò tentare acriticamente di realizzare quest'ultima azzopperebbe la crescita economica - cioè un risultato, appunto, indesiderabile.
Peraltro, per osservare la presenza di un extra-profitto nel lungo periodo bisognerebbe aspettare (appunto) un certo periodo di tempo successivo all'introduzione di una nuova tecnologia o di un nuovo prodotto. Tale compito si rivela impossibile in presenza di continue innovazioni.
CONCLUSIONI
Il libero mercato non richiede il verificarsi di condizioni ideali come quelle che caratterizzano la concorrenza perfetta. Al contrario, i meccanismi di mercato servono proprio a fronteggiare le imperfezioni del mondo reale. Il modello neoclassico della concorrenza perfetta descrive una situazione statica e teorica di massima efficienza, che magari può approssimare il funzionamento di alcuni settori, ma certamente non di altri. I suoi più grossi difetti riguardano la soggettività del valore ed il ruolo imprenditoriale. L'idea che lo Stato debba realizzare le condizioni della concorrenza perfetta è sbagliata non solo dal punto di vista teorico, ma soprattutto dal punto di vista pratico. Per cercare di ridurre fantomatiche inefficienze di mercato, le politiche antitrust finiscono col punire le aziende migliori, riducendone la capacità di soddisfare i clienti e spingendole a investire risorse per ottenere protezione politica. Quest'ultima osservazione spiega perché tali politiche dannose continuino ad essere praticate [13], col risultato di creare inefficienze ben più consistenti di quelle che a parole si vorrebbero combattere.
Weierstrass
[1] I consumatori possono avere esigenze molto diverse gli uni dagli altri, perciò esistono combinazioni qualità/prezzo diverse a seconda della tipologia di clienti scelta.
[3] Però si ha una forma di concorrenza anche in quel caso: se esistono altri beni per soddisfare il medesimo bisogno, i consumatori possono scegliere tra le alternative possibili. Ciò limita il profitto ottenibile in quel settore di mercato.
[4] Il concetto è tanto semplice quanto - spesso volutamente - frainteso: gli scaffali di un negozio sono pieni di prodotti utili ai clienti perché il negoziante vuole guadagnare dalla loro vendita. L'interesse personale del negoziante (ottenere un profitto) lo porta a fare anche l'interesse dei clienti (soddisfare i loro bisogni), poiché uno scambio volontario può avvenire solo se entrambe le parti lo reputano vantaggioso. Basta entrare in qualsiasi negozio per averne una quotidiana dimostrazione empirica.
[6] Il problema è che concetti come valore e utilità sono soggettivi, cioè ognuno valuta le cose in maniera diversa dagli altri. Non potendo leggere la mente delle persone, non c'è modo di sapere come quest'ultime reagiranno di fronte a un certo prodotto; l'unico modo per scoprirlo è tramite un approccio "prova e sbaglia".
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