Cerca nel blog

martedì 15 novembre 2016

Miti statalisti: #2 salari femminili e discriminazione

Periodicamente, nel dibattito pubblico, riaffiora il mito che le donne vengano ingiustamente pagate meno degli uomini. A sostegno di ciò, vengono citate statistiche che confrontano il salario medio maschile con quello femminile, e il cosiddetto gender gap misura quanto il secondo è inferiore al primo. Per esempio, si stima che negli USA le donne guadagnino mediamente circa il 20% in meno degli uomini. Secondo il mito, questa differenza dipende dal fatto che i datori di lavoro discriminino sistematicamente le proprie dipendenti - da cui lo slogan "paga uguale per uguale lavoro" (da attuare con varie forme di interventismo statale).


C'è un modo molto semplice per smentire tale teoria: usare il buon senso. Gli statalisti sostengono che, a parità di produttività individuale [1], una donna venga pagata meno di un collega maschile; ma, se ciò fosse vero, per quale motivo le aziende assumerebbero uomini? Guadagnerebbero molto di più assumendo solo dipendenti femminili. Quindi, escludendo l'ipotesi di masochismo, il mito delle "donne discriminate" è incapace di spiegare la realtà quotidiana - quella in cui il tasso di occupazione maschile (grafico sotto, in blu) non solo è diverso da zero, ma è addirittura superiore a quello femminile (in rosso). 



Evidentemente qualcosa non torna, ed è ovvio che si tratti di quel "a parità di produttività" che fa da premessa alla tesi statalista. Come abbiamo accennato in una precedente puntata, la compensazione del lavoratore (maschile o femminile) dipende dalla sua produttività. Un chirurgo (generalmente) guadagna più di un insegnante elementare, perché i servizi prodotti dal primo hanno un valore di mercato maggiore [2]; analogamente, chi si laurea in materie umanistiche spesso guadagna meno di chi si laurea in materie scientifiche. E così via: esistono lavori più produttivi di altri. 
Spesso uomini e donne fanno scelte scolastiche e lavorative diverse, e ciò si riflette sui rispettivi stipendi. Le donne tendono a concentrarsi in professioni che vengono retribuite di meno, quindi il loro reddito risulta mediamente inferiore rispetto a quello degli uomini. 
Un ulteriore fattore è dato dalla carriera. Spesso le donne scelgono di sacrificarla per dedicarsi alla famiglia e, in particolare, alla maternità. Questo ha ovviamente implicazioni sulla produttività delle lavoratrici, e le aziende ne tengono conto [3]. Insomma: nessun mistero o, tanto meno, discriminazione. 

Infatti, se si considerano uomini e donne con lo stesso percorso scolastico, la stessa esperienza lavorativa e la stessa carriera, il gender gap scompare

Weierstrass

[1] Cioè a parità di mansione e di bravura personale. 

[2] In questo paese e in momento storico, la domanda e l'offerta di chirurghi sono diverse da quelle degli insegnanti elementari. Questo determina una diversa compensazione lavorativa.

[3] E' noto che alcune aziende richiedano alle proprie dipendenti di accettare "clausole di gravidanza", ovvero di impegnarsi a non fare figli (pena il licenziamento). Evidentemente la maternità comporta un costo - sebbene non diretto - a carico dell'azienda, altrimenti quest'ultima farebbe volentieri a meno di questi espedienti. 

Nessun commento:

Posta un commento