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sabato 5 novembre 2016

Gli errori di Thomas Piketty (5/5) - dati empirici e conclusioni

Quinta ed ultima puntata dedicata agli errori contenuti nel libro "Il capitale nel XXI secolo" scritto dall'economista francese Thomas Piketty. Qui la quarta parte.




Nelle precedenti puntate abbiamo esaminato i principali errori presenti nella teoria di Piketty. Non a caso, quest'ultima ha ricevuto numerose critiche tra gli economisti - come si può verificare scorrendo la lista di articoli in fondo a questa pagina. Per quanto riguarda l'analisi empirica, invece, il suo libro è stato generalmente elogiato. Oggi discuteremo di questo aspetto. 
Sono stati riscontrati diversi errori tra i dati riportati ne "Il capitale nel XXI secolo", per esempio riguardo agli andamenti storici del salario minimo e delle tasse negli USA. In questa analisi, però, ci concentreremo sui dati relativi alla crescita delle disuguaglianze e al tasso di rendimento netto del capitale. 

Iniziamo con l'osservare che esistono vari modi per stimare la ricchezza detenuta dalla parte più benestante della popolazione. Questo tipo di statistiche si basa principalmente su sondaggi o sui proventi delle tasse di proprietà; inoltre, all'interno dello stesso tipo di analisi, si possono adottare metodologie diverse. Diventa perciò difficile (e discutibile) creare serie storiche che comprendano dati provenienti da studi diversi sulla distribuzione della ricchezza. Tuttavia Piketty l'ha fatto, e da ciò è nato il (ormai celebre) confronto con un giornalista del Financial Times, Chris Giles. Quest'ultimo ha contestato a Piketty vari errori, sia di trascrizione che di metodologia, e ha rielaborato i suoi dati al fine di presentare delle serie storiche alternative sulla ricchezza detenuta dal 10% e dall'1% più ricco (si vedano le figure qui sotto). 



I risultati di Giles minano uno dei punti salienti del libro di Piketty, e cioè che la disuguaglianza della ricchezza sia tornata ad aumentare a partire dagli anni '80 del secolo scorso. Infatti i grafici di Piketty hanno una forma a "U", mentre quelli modificati da Giles mostrano (sul finire del 1900) un andamento pressoché piatto - a significare che il livello delle disuguaglianze non sia cambiato negli ultimi 30 anni. 
Non vogliamo sostenere che Giles abbia necessariamente ragione; a sua volta, infatti, la sua analisi è stata criticata da un economista del Guardian, Howard Reed. Vogliamo invece sottolineare i due aspetti rilevanti di questa diatriba. Primo: la distribuzione della ricchezza non è direttamente misurabile, per cui bisognerebbe essere cauti nell'avanzare proposte politiche basate su questo tipo di statistiche [1]. Secondo: Piketty ha realizzato i suoi grafici mischiando fonti (e metodologie) diverse, peraltro in maniera discutibile. E qui veniamo alle critiche più serie, avanzate da Phillip W. Magness e Robert P. Murphy in riferimento ai dati sugli Stati Uniti. Come riassunto da Daniel Bier in un suo articolo
Piketty ha messo assieme dati provenienti da numerose fonti diverse, li ha modificati (incrementandoli) in maniera insolita e ingiustificata, ha escluso quelli che contraddicevano le sue premesse e ne ha nascosto la mancanza calcolando una media per ciascun decennio (talvolta usando i dati provenienti da appena due anni). Alla fine, il grafico di Piketty sulla disuguaglianza della ricchezza negli Stati Uniti mostra un andamento che nessuna delle sue fonti originali mostrava. Ma la cosa peggiore è che non abbia detto ai suoi lettori di aver fatto alcuna di queste cose, né tantomeno abbia spiegato perché. 
Infatti Magness, usando le stesse fonti, è stato in grado di produrre un andamento opposto rispetto a quello di Piketty (prima figura sotto, a destra). Inoltre ha ricostruito i passaggi con cui quest'ultimo ha realizzato le proprie serie storiche. Il punto di partenza è uno studio di Wojciech Kopckuz e di Emmanuel Saez (Top Wealth Shares in the United States, 1916–2000: Evidence from Estate Tax Returns, 2004) e, in particolare, il grafico raffigurato in apertura a questo articolo. Da metà degli anni '80, la percentuale (sul totale) di ricchezza detenuta dall'1% più ricco degli Americani è rimasta costante e, oltretutto, ad un livello inferiore rispetto ai primi anni '70. Piketty ha però fatto una serie di "aggiustamenti" (seconda figura sotto) al fine di ribaltare tale risultato:
  • ha aumentato del 30% la serie di Kopckuz-Saez per farle avere, nell'anno 1967, lo stesso valore riportato da uno studio di Edward N. Wolff; 
  • ha tenuto i dati (modificati come sopra) di Kopckuz-Saez fino agli anni '70, eliminandone il resto;
  • ha sostituito la parte mancante coi dati provenienti da uno studio di Arthur B. Kennickell;
  • ha filtrato (smoothing) la serie di Kennickell per fare in modo che la disuguaglianza apparisse in continuo aumento;
  • ha unito i punti mancanti e calcolato delle medie decennali, così da nascondere i passaggi intermedi. 
Manipolare i dati in questo modo è un'operazione di dubbia validità dal punto di vista scientifico, e pare mirata al raggiungimento di un obiettivo prefissato. Infatti, considerando che gli USA rappresentano uno dei mercati più liberi (o "capitalistici") al mondo, l'andamento della disuguaglianza della ricchezza in tale paese rappresenta un'importante cartina di tornasole per la teoria di Piketty.

Disuguaglianza della ricchezza, 1910-2010, dati USA. A sinistra vengono mostrate le fonti da cui Piketty
ha preso i dati degli anni corrispondenti. A destra vengono confrontate le serie di Piketty e quelle
(alternative) di Magness, basate sulla stessa raccolta di fonti.
Questa figura mostra i vari passaggi con cui Piketty ha ottenuto il suo
grafico sulla ricchezza detenuta dall'1% più ricco degli Americani. 

Un'ulteriore critica è arrivata da parte di un giovane economista, Matthew Rognlie. Nel suo paper (A note on Piketty and diminishing returns to capital, 2014) Rognlie ha dimostrato - tra le altre cose - che la quota del reddito netto da capitale sia aumentata solo a causa del settore edilizio. Per farlo, ha raccolto i dati relativi al periodo 1948-2010 e riguardanti le sette maggiori economie occidentali (vedi grafico sotto)
Tale risultato empirico rifiuta la narrazione pikettyana. La quota del reddito netto da capitale (α) non sta aumentando a causa di un'inevitabile tendenza del libero mercato, ma piuttosto risente dell'aumento del prezzo delle case. A questo proposito, è bene sottolineare che il settore immobiliare è pesantemente influenzato da vari interventi statali, tra i quali spiccano la politica monetaria [2] ed il rilascio dei permessi edilizi [3]. Sulla base di ciò, le prescrizioni politiche per contrastare le disuguaglianze economiche cambiano radicalmente: anziché aumentare alcune forme di prelievo fiscale, bisognerebbe eliminare il ruolo dei Governi nel gonfiare i prezzi delle abitazioni. 


Ultimo, ma non per importanza, va segnalato uno studio di Carlos Góes (Testing Piketty's Hipothesis on the Drivers of Income Inequality: Evidence from Panel VARs with Heterogeoneus Dinamics). Góes ha testato la validità empirica della teoria di Piketty e non ha trovato "alcuna evidenza per corroborare l'idea che la differenza r-g guidi l'andamento del reddito da capitale sul reddito nazionale".  

CONCLUSIONI
Nel corso di questa analisi, abbiamo spiegato i motivi per cui la teoria di Piketty sia profondamente sbagliata: le sue "leggi fondamentali" sono incapaci di collegare la disuguaglianza delle ricchezza al possesso di capitale, e oltretutto vengono usate in maniera contraddittoria. E' altrettanto sbagliata l'idea che una maggiore disuguaglianza (nel contesto di libero mercato [4]) costituisca un problema da risolvere. Infine, i dati empirici non supportano la tesi del libro.

NOTA BIBLIOGRAFICA
Durante la stesura di queste puntate si è fatto riferimento a diversi articoli riguardanti "Il capitale nel XXI secolo". Oltre a quelle già citate nel testo, riteniamo degne di nota le seguenti analisi:

- Is Piketty's "Second Law of Capitalism" Fundamental? di Per Krussell e Anthony A. Smith Jr
- Inequality and Growth di Justin Wolfers
Nit-Piketty di Debraj Ray
- Piketty's Capital: Wrong Theory / Destructive Program di George Reisman
- Thomas Piketty's Improbable Data di Hunter Lewis
- The real problem with Thomas Piketty's grand theory of inequality di John Aziz
- Critica de "Il capitale nel XXI secolo" di Giovanni Caccavello

Weierstrass 

Addendum (06/03/2021): come spiegato in un precedente articolo, la distribuzione della ricchezza è fortemente correlata all'età anagrafica. Dal momento che la speranza di vita è aumentata continuamente nei decenni passati, è logico aspettarsi un conseguente aumento delle disuguaglianze: gli anziani vivono, lavorano e risparmiano sempre più a lungo durante l'arco della loro vita, perciò si allarga il divario tra la loro ricchezza accumulata e quella dei giovani. Per esempio, uno studio del Fraser Institute (Towards a better understanding of income inequality in Canada) ha trovato che "in Canada, tra l'80 e l'87 percento della disuguaglianza nella ricchezza individuale può essere spiegata dall' [...] età". 


[1] A maggior ragione quando i cambiamenti osservati nel tempo sono piccoli.


[2] Gli effetti della politica monetaria (soprattutto se espansiva) sul settore immobiliare sono ben noti. In sostanza, l'aumento della base monetaria e la riduzione dei tassi d'interesse stimola vari tipi di investimenti, tra cui quelli nell'edilizia. 


[3] Quando razionano il rilascio dei permessi edilizi, le autorità pubbliche diminuiscono l'offerta di abitazioni rispetto alla loro domanda. Di conseguenza, ne aumentano il prezzo. 


[4] Ovviamente esistono disuguaglianze che non derivano dal libero mercato, ma piuttosto dall'intervento statale. I lauti stipendi dei funzionari pubblici e le rendite monopolistiche garantite per legge, per esempio, non rappresentano un compenso per i servizi svolti, quanto piuttosto il livello di influenza politica di determinati attori. Per eliminare le disuguaglianze che ne derivano, basterebbe eliminare gli interventi statali che le generano; tuttavia, coloro che si dichiarano contrari alla disuguaglianze non propongono mai di farlo. Si direbbe che esistano "disuguaglianze più uguali delle altre".  

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