La classe politica, alla perpetua ricerca di espedienti con cui (legalmente [1]) comprare voti, ha escogitato un nuovo modo con cui fregare i cittadini: il reddito minimo garantito [2]. In pratica, si propone di usare denaro pubblico per integrare il reddito di ogni individuo, affinché raggiunga un minimo stabilito per legge. Ne esistono varianti più o meno complesse, ma la sostanza rimane pressoché la stessa: per "dare dignità" a una persona, bisogna consentirle di vivere a spese degli altri. La dignità di quest'ultimi, che magari ambiscono a godere dei frutti del proprio lavoro, è evidentemente figlia di un dio minore. Ma non sottilizziamo troppo!
Il reddito minimo garantito è pensato per consentire a tutti di "vivere decentemente" anche in mancanza di un lavoro. Chiaramente qualcuno deve pagare il conto, e potremmo discutere sulla (im)moralità di estorcere denaro ad alcuni per darlo ad altri [3]. Ma invece considereremo solo gli aspetti pratici di tale proposta.
Se il reddito minimo garantito viene fissato per legge a 800€, tutte le persone che guadagnano meno di 800€ mensili ricevono un'integrazione dallo Stato: chi guadagna 600€ ne riceve altri 200, chi guadagna 350€ ne riceve altri 450, e chi non guadagna nulla ne riceve 800. Si tratta di una misura da applicare (in teoria) a poche persone, quelle più povere, che appunto hanno un reddito inferiore a 800€. Ma i lettori più svegli si saranno già accorti della fregatura: in tale scenario, una persona che guadagni meno di 800€ al mese non ha alcun incentivo a lavorare. Infatti lavorare non le consente di avere più soldi in tasca: sono 800€ se lavora, e sono sempre 800€ se non lavora. Anzi: andare a lavoro e pranzare fuori casa comportano dei costi, quindi anche chi guadagna 900€ o 1000€ al mese rinuncia volentieri al proprio lavoro. Se poi consideriamo che lavorare comporta fatica, probabilmente anche chi guadagna 1100€ o 1200€ mensili preferisce essere disoccupato, guadagnare di meno ma avere più tempo libero.
Inoltre, all'aumentare del numero di persone che abbandonano volontariamente il posto di lavoro, aumenta anche la spesa necessaria a finanziare il loro reddito minimo garantito. Di conseguenza, le tasse devono aumentare. Ma non ha senso aumentarle per i disoccupati, altrimenti il reddito minimo garantito non consentirebbe più di "vivere dignitosamente". Quindi bisogna aumentare le tasse (direttamente o indirettamente) a carico di chi lavora, incentivando ancora più persone a lasciare l'attività lavorativa. Si crea dunque un circolo vizioso che, in tempi rapidi, porta alla disoccupazione di massa e all'impoverimento generale.
Il fallimento inevitabile del reddito minimo garantito deriva da due problemi di fondo:
Comunque esistono proposte che cercano di "correggere" i danni causati dal reddito minimo garantito. Per esempio, alcuni propongono di obbligare chi beneficia di tale misura a fare colloqui di lavoro e ad accettare le offerte lavorative così ricevute [6]. Questa clausola serve ad impedire che le persone rinuncino a lavorare, visto che il reddito minimo garantito le incentiva a farlo. Purtroppo è un'idea fallimentare: non c'è nulla di più facile che far fallire un colloquio di lavoro (1) o farsi licenziare dopo breve tempo (2).
ESEMPIO (1)
Datore di lavoro: "Allora, sei interessato a questo lavoro?"
Disoccupato: "Non mi è mai interessato, ma partecipo a questo colloquio perché sono obbligato per legge"
ESEMPIO (2)
Capo: "Oggi dovrai spostare questi pacchi"
Dipendente: "Non posso, ho dolori di schiena"
Capo: "Allora lavorerai al PC"
Dipendente: "Non so usare il PC"
E così via. Esistono infiniti modi per aggirare l'obbligo di trovare un lavoro. Ricordiamo che Milton Friedman aveva documentato queste dinamiche già 40 anni fa. Ma c'è chi non si arrende all'evidenza e alla logica, e quindi propone di apportare ulteriori "correzioni". Tipo: istituire un sistema di controllori, così da valutare quanto il disoccupato si impegni davvero nella ricerca del lavoro [7]. Aldilà dell'impossibilità di stabilire oggettivamente quanto una persona si stia impegnando nella ricerca o nello svolgimento di un lavoro, il problema principale risiede (ancora un volta) negli incentivi: i controllori, sarebbero dipendenti pubblici, quindi non avrebbero alcun incentivo a svolgere bene il proprio lavoro. Chi glielo farebbe fare di inimicarsi qualcuno? Chiuderebbero un occhio, al massimo chiedendo una mazzetta al disoccupato.
E se ricevessero dei premi in base al numero di "sfaticati" scoperti? Allora avrebbero l'incentivo ad accusare chiunque, anche chi si impegnasse davvero. Favoritismi e mazzette dilagherebbero ancora di più.
Quindi queste "correzioni" non risolvono i problemi di fondo che abbiamo citato, ed anzi ne aggiungono di ulteriori. L'unica e semplice soluzione è cestinare l'idea di un reddito minimo garantito. Bisogna ascoltare il buon senso: per vivere, bisogna lavorare. Non c'è nulla di male, è una condizione naturale - tant'è che, se tutti smettessero di lavorare, l'umanità morirebbe di inedia.
Concludiamo con un pensiero politicamente scorretto, ma probabilmente veritiero. Alcune regioni d'Italia hanno un costo della vita più basso delle altre: un certo reddito può essere insufficiente per vivere in alcune, ma più che sufficiente per abitare in altre. Inoltre alcune regioni italiane hanno una maggiore tendenza all'evasione fiscale, per cui l'ipotetico beneficiario del reddito minimo garantito potrebbe "integrarlo" col lavoro in nero. Ecco, succede che queste regioni siano le stesse, quelle meridionali. Morale della favola: se davvero verrà applicato, il reddito minimo garantito sarà troppo basso per scoraggiare i lavoratori del Nord, ma sufficientemente alto da convincere quelli meridionali a ritirarsi dal lavoro. Quindi costituirà l'ennesimo trasferimento di ricchezza da Nord a Sud, al fine di garantire più voti al Governo in carica.
PS: il reddito di cittadinanza consiste nel dare a tutti una somma mensile di denaro pubblico, indipendentemente dalle altre eventuali fonti di reddito. A differenza del reddito minimo garantito, perciò, il reddito di cittadinanza è cumulabile con altri redditi. Il problema è che, essendo universale, costa parecchio: 800€ mensili, per 12 mesi, per tutti i maggiorenni (47 milioni di persone) fanno 450 miliardi all'anno, cioè il 27% del Prodotto Interno Lordo italiano. Questa cifra può essere finanziata o da maggiori tasse (con conseguenti effetti devastanti) o da tagli draconiani alla spesa pubblica (soprattutto quella per il welfare).
PPS: spesso i sostenitori di queste misure redistributive credono negli errori del luddismo. Temendo un problema inesistente - la bufala della "disoccupazione tecnologica" - fanno proposte che causeranno problemi quantomai reali.
Weierstrass
[1] Se un politico pagasse gli elettori in cambio dei loro voti, commetterebbe un reato. Tuttavia nessuna legge vieta a un politico di promettere benefici (anche in denaro) all'elettorato, il quale presumibilmente ricambierà il favore coi propri voti. Lascio valutare all'intelligenza del lettore se le due situazioni siano diverse o, piuttosto, equivalenti. Dalla costruzione di cattedrali nel deserto all'elargizione di sussidi vari, la politica consiste in "dare e ricevere".
[2] Nella loro infinita cialtroneria, i politici italiani del Movimento 5 Stelle chiamano "reddito di cittadinanza" quello che, a tutti gli effetti, è invece una forma di reddito minimo garantito. Ma le due cose non sono sinonimi, benché possano avere gli stessi deleteri effetti.
[3] I più descrivono tale operazione col nome di "furto".
[4] Chi riceve soldi dallo Stato li usa per consumare beni e servizi, ma senza produrre nulla in cambio. Ma, se nessuno producesse, non si potrebbero soddisfare tali consumi. Si può dire anche in altri termini: se nessuno lavorasse, guadagnasse e pagasse le tasse, lo Stato non potrebbe finanziare le spese per il reddito minimo garantito.
[5] Il problema è dato (anche) dal fatto che concetti come "dignitoso" e "povero" dipendono da quanto è ricca/povera una società. In una società estremamente ricca, dove quasi tutti guadagnassero almeno 2000€ mensili, un reddito minimo garantito di 800€ non causerebbe grandi danni. Ma la soglia di povertà assoluta verrebbe ricalcolata verso l'alto, di modo che 800€ mensili sarebbero considerati insufficienti a una "vita dignitosa". Dunque verrebbe proposto un reddito minimo garantito più elevato di 800€, quindi più distorsivo del mercato del lavoro.
[6] In realtà, spesso si specifica che l'offerta debba essere "adatta" al soggetto e al suo percorso di studi, "dignitosa", etc. In pratica, è impossibile applicare tale regola oggettivamente. L'intero sistema diventa vittima dell'arbitrio di qualche burocrate, con conseguenti ed inevitabili abusi.
[7] E' una proposta dal vago sapore sovietico. Nell'URSS, infatti, chi non si impegnava a lavorare veniva accusato di "sabotare" il paese. Ah, il paradiso dei lavoratori.
Il reddito minimo garantito è pensato per consentire a tutti di "vivere decentemente" anche in mancanza di un lavoro. Chiaramente qualcuno deve pagare il conto, e potremmo discutere sulla (im)moralità di estorcere denaro ad alcuni per darlo ad altri [3]. Ma invece considereremo solo gli aspetti pratici di tale proposta.
Se il reddito minimo garantito viene fissato per legge a 800€, tutte le persone che guadagnano meno di 800€ mensili ricevono un'integrazione dallo Stato: chi guadagna 600€ ne riceve altri 200, chi guadagna 350€ ne riceve altri 450, e chi non guadagna nulla ne riceve 800. Si tratta di una misura da applicare (in teoria) a poche persone, quelle più povere, che appunto hanno un reddito inferiore a 800€. Ma i lettori più svegli si saranno già accorti della fregatura: in tale scenario, una persona che guadagni meno di 800€ al mese non ha alcun incentivo a lavorare. Infatti lavorare non le consente di avere più soldi in tasca: sono 800€ se lavora, e sono sempre 800€ se non lavora. Anzi: andare a lavoro e pranzare fuori casa comportano dei costi, quindi anche chi guadagna 900€ o 1000€ al mese rinuncia volentieri al proprio lavoro. Se poi consideriamo che lavorare comporta fatica, probabilmente anche chi guadagna 1100€ o 1200€ mensili preferisce essere disoccupato, guadagnare di meno ma avere più tempo libero.
Inoltre, all'aumentare del numero di persone che abbandonano volontariamente il posto di lavoro, aumenta anche la spesa necessaria a finanziare il loro reddito minimo garantito. Di conseguenza, le tasse devono aumentare. Ma non ha senso aumentarle per i disoccupati, altrimenti il reddito minimo garantito non consentirebbe più di "vivere dignitosamente". Quindi bisogna aumentare le tasse (direttamente o indirettamente) a carico di chi lavora, incentivando ancora più persone a lasciare l'attività lavorativa. Si crea dunque un circolo vizioso che, in tempi rapidi, porta alla disoccupazione di massa e all'impoverimento generale.
Il fallimento inevitabile del reddito minimo garantito deriva da due problemi di fondo:
- Se lo Stato dà tanto a chi non lavora, incentiva tante persone a non lavorare.
- Beni e servizi devono essere prodotti da qualcuno [4].
Comunque esistono proposte che cercano di "correggere" i danni causati dal reddito minimo garantito. Per esempio, alcuni propongono di obbligare chi beneficia di tale misura a fare colloqui di lavoro e ad accettare le offerte lavorative così ricevute [6]. Questa clausola serve ad impedire che le persone rinuncino a lavorare, visto che il reddito minimo garantito le incentiva a farlo. Purtroppo è un'idea fallimentare: non c'è nulla di più facile che far fallire un colloquio di lavoro (1) o farsi licenziare dopo breve tempo (2).
ESEMPIO (1)
Datore di lavoro: "Allora, sei interessato a questo lavoro?"
Disoccupato: "Non mi è mai interessato, ma partecipo a questo colloquio perché sono obbligato per legge"
ESEMPIO (2)
Capo: "Oggi dovrai spostare questi pacchi"
Dipendente: "Non posso, ho dolori di schiena"
Capo: "Allora lavorerai al PC"
Dipendente: "Non so usare il PC"
E se ricevessero dei premi in base al numero di "sfaticati" scoperti? Allora avrebbero l'incentivo ad accusare chiunque, anche chi si impegnasse davvero. Favoritismi e mazzette dilagherebbero ancora di più.
Quindi queste "correzioni" non risolvono i problemi di fondo che abbiamo citato, ed anzi ne aggiungono di ulteriori. L'unica e semplice soluzione è cestinare l'idea di un reddito minimo garantito. Bisogna ascoltare il buon senso: per vivere, bisogna lavorare. Non c'è nulla di male, è una condizione naturale - tant'è che, se tutti smettessero di lavorare, l'umanità morirebbe di inedia.
Concludiamo con un pensiero politicamente scorretto, ma probabilmente veritiero. Alcune regioni d'Italia hanno un costo della vita più basso delle altre: un certo reddito può essere insufficiente per vivere in alcune, ma più che sufficiente per abitare in altre. Inoltre alcune regioni italiane hanno una maggiore tendenza all'evasione fiscale, per cui l'ipotetico beneficiario del reddito minimo garantito potrebbe "integrarlo" col lavoro in nero. Ecco, succede che queste regioni siano le stesse, quelle meridionali. Morale della favola: se davvero verrà applicato, il reddito minimo garantito sarà troppo basso per scoraggiare i lavoratori del Nord, ma sufficientemente alto da convincere quelli meridionali a ritirarsi dal lavoro. Quindi costituirà l'ennesimo trasferimento di ricchezza da Nord a Sud, al fine di garantire più voti al Governo in carica.
PS: il reddito di cittadinanza consiste nel dare a tutti una somma mensile di denaro pubblico, indipendentemente dalle altre eventuali fonti di reddito. A differenza del reddito minimo garantito, perciò, il reddito di cittadinanza è cumulabile con altri redditi. Il problema è che, essendo universale, costa parecchio: 800€ mensili, per 12 mesi, per tutti i maggiorenni (47 milioni di persone) fanno 450 miliardi all'anno, cioè il 27% del Prodotto Interno Lordo italiano. Questa cifra può essere finanziata o da maggiori tasse (con conseguenti effetti devastanti) o da tagli draconiani alla spesa pubblica (soprattutto quella per il welfare).
PPS: spesso i sostenitori di queste misure redistributive credono negli errori del luddismo. Temendo un problema inesistente - la bufala della "disoccupazione tecnologica" - fanno proposte che causeranno problemi quantomai reali.
Weierstrass
[1] Se un politico pagasse gli elettori in cambio dei loro voti, commetterebbe un reato. Tuttavia nessuna legge vieta a un politico di promettere benefici (anche in denaro) all'elettorato, il quale presumibilmente ricambierà il favore coi propri voti. Lascio valutare all'intelligenza del lettore se le due situazioni siano diverse o, piuttosto, equivalenti. Dalla costruzione di cattedrali nel deserto all'elargizione di sussidi vari, la politica consiste in "dare e ricevere".
[2] Nella loro infinita cialtroneria, i politici italiani del Movimento 5 Stelle chiamano "reddito di cittadinanza" quello che, a tutti gli effetti, è invece una forma di reddito minimo garantito. Ma le due cose non sono sinonimi, benché possano avere gli stessi deleteri effetti.
[3] I più descrivono tale operazione col nome di "furto".
[4] Chi riceve soldi dallo Stato li usa per consumare beni e servizi, ma senza produrre nulla in cambio. Ma, se nessuno producesse, non si potrebbero soddisfare tali consumi. Si può dire anche in altri termini: se nessuno lavorasse, guadagnasse e pagasse le tasse, lo Stato non potrebbe finanziare le spese per il reddito minimo garantito.
[5] Il problema è dato (anche) dal fatto che concetti come "dignitoso" e "povero" dipendono da quanto è ricca/povera una società. In una società estremamente ricca, dove quasi tutti guadagnassero almeno 2000€ mensili, un reddito minimo garantito di 800€ non causerebbe grandi danni. Ma la soglia di povertà assoluta verrebbe ricalcolata verso l'alto, di modo che 800€ mensili sarebbero considerati insufficienti a una "vita dignitosa". Dunque verrebbe proposto un reddito minimo garantito più elevato di 800€, quindi più distorsivo del mercato del lavoro.
[6] In realtà, spesso si specifica che l'offerta debba essere "adatta" al soggetto e al suo percorso di studi, "dignitosa", etc. In pratica, è impossibile applicare tale regola oggettivamente. L'intero sistema diventa vittima dell'arbitrio di qualche burocrate, con conseguenti ed inevitabili abusi.
[7] E' una proposta dal vago sapore sovietico. Nell'URSS, infatti, chi non si impegnava a lavorare veniva accusato di "sabotare" il paese. Ah, il paradiso dei lavoratori.
Ho letto, ed ha tutto una buona logica, però mi sembra che manchi qualche passaggio fondamentale, non so se per distrazione o per malafede, cioè omette il fine ultimo della faccenda, il Red. Di citt. è uno strumento che ti accompagna fino ad una assunzione nel lavoro, e quando dice che poi è facile rifiutare, ancora omette di dire che il beneficiario lo può fare se non vado errato solo 2 volte, poi non avrà più benefici in futuro. Un ultima cosa, vedo che chi non è d'accordo, tocca sempre lo stesso tasto, il fannullone che approfitta e che comunque continuerà ad esistere in tutti i campi della società civile, ma ci si dimentica sempre della persona in buona fede che magari è contento di svolgere un lavoro, la domanda è, su 6 milioni di persone, quante di queste saranno persone perbene? E se questa enorme operazione andasse a buon fine per 5 milioni di questi ? E se anche fossero 3 milioni di disoccupati in meno, sarebbe un male? (Io direi magari). Questo lo sapremo solo dopo, io come al solito dico, vediamo, chissà, proviamo... poi se tutto andrà a puttane, prendiamo i 5 stelle e diamogli un calcio nel culo, non sarà né la prima né l'ultima volta, purtroppo.
RispondiEliminaSalve
EliminaCito: "il Red. Di citt. è uno strumento che ti accompagna fino ad una assunzione nel lavoro [...] omette di dire che il beneficiario lo può fare se non vado errato solo 2 volte"
L'articolo si rivolge ad una generica proposta di reddito minimo garantito. Ovviamente in parte si ispira alle proposte del M5S, che lo chiamano "reddito di cittadinanza" (rdc). All'epoca in cui l'ho scritto - marzo 2017 - era prevista la possibilità di rifiutare 3 offerte in un anno, ma non la quarta. Lascio a lei giudicare quanto sia probabile che i centri per l'impiego trovino 4 offerte di lavoro in un anno a 6 milioni di persone. A me sembra improbabile, anche solo giudicando dalle loro performance attuali. E senza contare le limitazioni alle offerte di lavoro che possono proporre (es. i limiti territoriali e professionali che rendono "congrua" una proposta di lavoro).
Ciò detto, nell'articolo menziono l'obbligo di fare colloqui di lavoro e di accettarli. Il punto è che far fallire il colloquio o farsi licenziare non significa rifiutare l'offerta di lavoro: quindi il limite (attuale) di due rifiuti non verrebbe violato.
Cito: "su 6 milioni di persone, quante di queste saranno persone perbene? E se questa enorme operazione andasse a buon fine per 5 milioni di questi? [...] Questo lo sapremo solo dopo"
Ci tengo a specificare che non reputo "cattive persone" quelle che cercano di approfittarsi del rdc. E' "cattiva" una persona a cui non piace la prima offerta, o che viene licenziata dopo aver accettato la seconda offerta? Secondo me: no, è semplicemente una persona che fa il suo interesse dopo che lo Stato stesso la incentiva a farlo. Quando si parla di grandi numeri (milioni di persone), gli incentivi contano.
Ciò detto, per i motivi sopra descritti ritengo improbabile che si possa trovare lavoro a questi milioni di disoccupati - perlomeno, non tramite gli stessi centri per l'impiego che faticano a trovare offerte di lavoro per gli attuali richiedenti. E se invece fosse così facile trovare questi milioni di posti di lavoro, perché non "distribuire" direttamente quelli anziché il rdc?
Comunque lei ha certamente ragione nel dire che gli effetti si vedranno dopo. Il problema è che, se saranno negativi, non saranno i signori Salvini e Di Maio a restituire quei miliardi di euro agli Italiani che pagano le tasse. Nessuno restituirà un bel niente; anzi, chi riceverà il rdc lotterà con le unghie e con i denti per tenerselo. Direi quindi che sia ragionevole voler evitare un simile esperimento. Purtroppo, invece, ci toccherà subirlo.