Supponete che una persona vi minacci per prendere il vostro denaro. Per definizione, si tratta di un furto: "l'atto [...] d'impossessarsi di cosa [...] altrui sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri". Non importa il modo in cui il ladro vuole impiegare il vostro denaro: che lo usi per comprare qualcosa, lo bruci o lo regali, si tratta comunque di un furto. Non importa nemmeno il numero dei ladri: che sia 1, 10 o 1'000, si tratta sempre di un furto. Queste sono constatazioni condivise praticamente da tutti [1,2]. Ma consideriamo adesso la definizione di Stato - "organizzazione che si arroga il monopolio della coercizione (cioè della violenza) su un determinato territorio" - e chiediamoci se sia effettivamente diverso dal ladro di cui sopra. A dispetto di ciò che pensa la maggioranza delle persone, non c'è alcuna differenza, e oggi spiegheremo perché.
Lo Stato fa uso/minaccia della forza per ottenere (tramite tasse ed imposte) denaro dalle persone, non diversamente da quanto fa un ladro; al massimo, l'unica differenza è che il secondo tenta di nascondere le sue malefatte, mentre il primo le commette alla luce del sole. Non si può obiettare che lo Stato usi "a fin di bene" il denaro ottenuto con la forza [3], poiché abbiamo appurato che non conta il modo in cui il ladro vuole impiegare il denaro rubato. Non si può nemmeno obiettare che lo Stato rappresenti la volontà della maggioranza delle persone [4], poiché non conta il numero dei ladri: anche se un gran numero di persone è favorevole a derubare qualcun altro, si tratta comunque di un furto.
Per essere più precisi, lo Stato si comporta come un estorsore: usa la violenza, o ne minaccia l'uso, per obbligare le persone a fare ciò che vuole. Questa conclusione è tutt'altro che sorprendente, visto che stiamo parlando di un ente (per sua natura) coercitivo. Se un qualunque soggetto privato si comportasse alla maniera dello Stato, nessuno negherebbe che si tratti di un furfante. Ma allora perché la coercizione statale viene ritenuta accettabile o, addirittura, desiderabile?
Consideriamo le due obiezioni principali agli argomenti sopracitati. La prima si basa sull'idea che esista un patto (il cosiddetto "contratto sociale") tra cittadini e Governo, in cui i primi conferiscono al secondo il diritto di prevaricare gli individui. Lo Stato non sta commettendo un furto, poiché in realtà la vittima (o un suo antenato?) ha acconsentito a farsi derubare. Questa idea è stata modificata per evitare le conseguenze più paradossali ed indesiderate [5] sostenendo che ci siano limiti ai poteri conferiti allo Stato da questo presunto contratto [6].
Tuttavia il contratto sociale non esiste, non è mai esistito, ed è illogico postularne l'esistenza. Anzitutto, non esiste alcuna evidenza che qualcuno abbia mai acconsentito ad un contratto del genere. Inoltre, anche qualora l'avesse fatto 6'000 anni fa, non si vede per quale motivo i discendenti dovrebbero esserne vincolati senza il proprio consenso - a maggior ragione considerando che gli Stati originali sono ormai scomparsi da tempo. Per esempio: come mai, quando uno Stato viene conquistato da un altro, il precedente contratto sociale dovrebbe essere automaticamente esteso al conquistatore? Per tener conto di queste ed altre obiezioni, i teorici "contrattualisti" devono ipotizzare che il contratto sociale:
Per essere più precisi, lo Stato si comporta come un estorsore: usa la violenza, o ne minaccia l'uso, per obbligare le persone a fare ciò che vuole. Questa conclusione è tutt'altro che sorprendente, visto che stiamo parlando di un ente (per sua natura) coercitivo. Se un qualunque soggetto privato si comportasse alla maniera dello Stato, nessuno negherebbe che si tratti di un furfante. Ma allora perché la coercizione statale viene ritenuta accettabile o, addirittura, desiderabile?
Consideriamo le due obiezioni principali agli argomenti sopracitati. La prima si basa sull'idea che esista un patto (il cosiddetto "contratto sociale") tra cittadini e Governo, in cui i primi conferiscono al secondo il diritto di prevaricare gli individui. Lo Stato non sta commettendo un furto, poiché in realtà la vittima (o un suo antenato?) ha acconsentito a farsi derubare. Questa idea è stata modificata per evitare le conseguenze più paradossali ed indesiderate [5] sostenendo che ci siano limiti ai poteri conferiti allo Stato da questo presunto contratto [6].
Tuttavia il contratto sociale non esiste, non è mai esistito, ed è illogico postularne l'esistenza. Anzitutto, non esiste alcuna evidenza che qualcuno abbia mai acconsentito ad un contratto del genere. Inoltre, anche qualora l'avesse fatto 6'000 anni fa, non si vede per quale motivo i discendenti dovrebbero esserne vincolati senza il proprio consenso - a maggior ragione considerando che gli Stati originali sono ormai scomparsi da tempo. Per esempio: come mai, quando uno Stato viene conquistato da un altro, il precedente contratto sociale dovrebbe essere automaticamente esteso al conquistatore? Per tener conto di queste ed altre obiezioni, i teorici "contrattualisti" devono ipotizzare che il contratto sociale:
- sia inscindibile;
- sia forzosamente esteso ai discendenti dei firmatari;
- sia forzosamente esteso a chiunque rovesci lo Stato attuale;
- giustifichi qualsiasi imposizione dello Stato [7];
- contempli la possibilità di ribellarsi (ma non di annullare il contratto stesso, che viene esteso al successivo Governo).
Inutile dire che nessuna persona normodotata firmerebbe mai una cosa del genere [8]. Infatti le clausole dei contratti (reali) privati sono ben diverse. Non ci sono quindi ragioni per sostenere che il contratto sociale sia diverso da Babbo Natale o dagli unicorni. Si tratta di un frutto della fantasia umana. L'idea che esista un contratto tra Stato e cittadini è falsa, e le pretese del primo verso i secondi sono semplicemente atti di estorsione.
Non è dunque un caso se, nel tentativo di giustificare lo Stato, i suoi sostenitori impieghino logiche di stampo mafioso; la mafia è, infatti, un'altra organizzazione coercitiva. Che dire, per esempio, dell'affermazione secondo cui un individuo sarebbe "libero di andar via" qualora non volesse accettare le regole imposte dello Stato? E' esattamente lo stesso approccio usato dalle organizzazione malavitose quando dicono che, se non vuoi pagare il pizzo, "sei libero di andartene". Ma una persona è libera se - tra le altre cose - è libera di vivere sulla sua proprietà; se non può farlo, poiché viene costretta ad abbandonarla, evidentemente non è libera. Così come le pretese dei mafiosi sono forme di violenza, lo stesso vale per le analoghe pretese dello Stato.
Storicamente, alle origini (dirette o indirette) di ogni Stato attuale c'è la conquista di un territorio e la sottomissione dei suoi abitanti da parte di una banda armata. Lo Stato è il mezzo con cui quest'ultima ha istituzionalizzato la rapina ai danni dei cittadini. Ovviamente sono cambiate molte cose nel corso dei secoli [9], ma le caratteristiche fondamentali del potere statale sono sempre le stesse: la sua natura parassitaria nei confronti della società, "mitigata" dall'impegno a difendere i sudditi da criminali comuni e da altri Stati. Il fatto di garantire protezione è, secondo molti, giustificazione sufficiente per averla imposta con la forza. Si tratta della seconda obiezione alla critica dello Stato: quest'ultimo è un male necessario, poiché solo lui può garantire la pacifica convivenza degli individui e la loro difesa da potenze straniere. Quindi sarebbe bello poter vivere senza coercizione, ma non è fattibile. Senza un'organizzazione statale, la società sprofonderebbe nella guerra di tutti contro tutti.
Nel discutere questo argomento, conviene anzitutto sottolinearne le implicazioni. Se lo Stato fosse davvero necessario a garantire la convivenza civile, sarebbero accettabili solo le azioni necessarie a svolgere tale compito. Trattandosi comunque di un male, bisognerebbe ridurlo al minimo indispensabile: uno Stato che si limiti a gestire poche cose (le forze armate, le forze di polizia ed i tribunali [10]). Tutto il resto risulta quindi illecito, anche per chi ritiene che lo Stato sia indispensabile. Ciò detto, l'idea che sia quest'ultimo a garantire la pacifica convivenza tra individui è errata sia dal punto di vista logico che da quello storico.
Per la quasi totalità della sua storia, l'umanità è vissuta in assenza di organizzazioni statali. I primi Homo sapiens sono comparsi circa 300'000 anni fa, le prime città circa 10'500 anni fa, le prime città-stato circa 6'000 anni fa. Evidentemente le società umane pre-statali non erano caratterizzate da una "guerra di tutti contro tutti" - altrimenti non sarebbe stato possibile formare delle comunità, tantomeno stanziali - ma da un insieme di regole date dal buon senso e dalla necessità/volontà di convivere pacificamente con gli individui vicini [11]. E' una questione di logica: se gli individui fossero costantemente in guerra tra loro e volessero perseverare in essa, non gli verrebbe certo in mente di sottomettersi ad un unico Governo. Solo se volessero vivere in pace - pur avendo interessi contrapposti - potrebbero decidere di accordarsi su alcune regole basilari di convivenza (che peraltro non implicano affatto l'esistenza di un Governo). Non vogliamo qui discutere come si è passati dalle comunità umane pre-statali agli Stati attuali, ma dovrebbe essere chiaro che la convivenza civile sia premessa necessaria per il mantenimento di uno Stato - e non il contrario. Innumerevoli guerre civili e ribellioni hanno confermato che la coercizione statale non sia sufficiente ad imporre il rispetto delle leggi; è invece la società - intesa come insieme di individui - a decidere se le leggi siano accettabili o no.
Quanto esposto qui sopra non spiega come funzionerebbe una società libera, senza Stato; non potendo liquidare tale tematica in poche parole, vi dedicheremo un futuro articolo. Vogliamo invece concludere questa trattazione tornando alla questione originaria: perché la maggioranza delle persone ritiene accettabile la coercizione statale? Pochi(ssimi) credono alla storiella del contratto sociale, mentre quasi tutti non si pongono il problema della liceità dello Stato né, del resto, saprebbero immaginare un'alternativa praticabile. In tutto ciò, un ruolo rilevante lo hanno il monopolio dell'istruzione [12,13] ed il controllo (anche parziale [14]) dell'informazione da parte dello Stato. Ai bambini viene insegnato che lo Stato è buono, utile, indispensabile; nessun programma ministeriale metterebbe in discussione l'esistenza dei suoi apparati [15] o proporrebbe alternative non basate sulla coercizione. Nel caso degli adulti entrano in gioco anche altri fattori. Il principale è l'illusione di poter vivere sulle spalle degli altri: come notava Frédéric Bastiat già due secoli fa, lo Stato è il mezzo tramite cui tutti cercano di ottenere privilegi a spese altrui. Manca poi una diffusa conoscenza delle possibili alternative, e spesso pure la voglia di ascoltarle [16]. L'anarchia - cioè l'assenza di un Governo - viene erroneamente equiparata all'assenza di regole, perciò ritenuta utopica [17]. L'idea che una società umana possa generare un ordine spontaneo è sconosciuta ai più, nonostante ne esistano esempi lampanti come la linguaggio e la divisione del lavoro [18]. Anche chi conosce questo concetto fatica ad applicarlo coerentemente nell'ambito di una società libera.
Ciò detto, diventano sempre più evidenti le conseguenze della natura violenta e parassitaria dello Stato. La quotidiana guerra per la spartizione di potere e privilegi tra gruppi di pressione (lobby [19]) dimostra che l'espressione "bene comune" significa piuttosto il bene di qualcuno a spese degli altri. Per mantenere un apparato statale inutile ed inefficiente, il cittadino viene privato di una parte sempre più consistente dei propri redditi e risparmi; inoltre la libertà individuale viene compressa da una regolamentazione crescente, persino negli ambiti più privati. Anche chi non si ritiene anarchico/libertario riconosce le storture del sistema attuale, ma purtroppo non ha gli strumenti intellettuali per farlo in maniera coerente. Possiamo solo sperare che si diffonda una maggiore consapevolezza di cosa è davvero lo Stato, così da iniziare (perlomeno) a ridurre l'ingerenza di quest'ultimo nelle nostre vite.
Non è dunque un caso se, nel tentativo di giustificare lo Stato, i suoi sostenitori impieghino logiche di stampo mafioso; la mafia è, infatti, un'altra organizzazione coercitiva. Che dire, per esempio, dell'affermazione secondo cui un individuo sarebbe "libero di andar via" qualora non volesse accettare le regole imposte dello Stato? E' esattamente lo stesso approccio usato dalle organizzazione malavitose quando dicono che, se non vuoi pagare il pizzo, "sei libero di andartene". Ma una persona è libera se - tra le altre cose - è libera di vivere sulla sua proprietà; se non può farlo, poiché viene costretta ad abbandonarla, evidentemente non è libera. Così come le pretese dei mafiosi sono forme di violenza, lo stesso vale per le analoghe pretese dello Stato.
Storicamente, alle origini (dirette o indirette) di ogni Stato attuale c'è la conquista di un territorio e la sottomissione dei suoi abitanti da parte di una banda armata. Lo Stato è il mezzo con cui quest'ultima ha istituzionalizzato la rapina ai danni dei cittadini. Ovviamente sono cambiate molte cose nel corso dei secoli [9], ma le caratteristiche fondamentali del potere statale sono sempre le stesse: la sua natura parassitaria nei confronti della società, "mitigata" dall'impegno a difendere i sudditi da criminali comuni e da altri Stati. Il fatto di garantire protezione è, secondo molti, giustificazione sufficiente per averla imposta con la forza. Si tratta della seconda obiezione alla critica dello Stato: quest'ultimo è un male necessario, poiché solo lui può garantire la pacifica convivenza degli individui e la loro difesa da potenze straniere. Quindi sarebbe bello poter vivere senza coercizione, ma non è fattibile. Senza un'organizzazione statale, la società sprofonderebbe nella guerra di tutti contro tutti.
Nel discutere questo argomento, conviene anzitutto sottolinearne le implicazioni. Se lo Stato fosse davvero necessario a garantire la convivenza civile, sarebbero accettabili solo le azioni necessarie a svolgere tale compito. Trattandosi comunque di un male, bisognerebbe ridurlo al minimo indispensabile: uno Stato che si limiti a gestire poche cose (le forze armate, le forze di polizia ed i tribunali [10]). Tutto il resto risulta quindi illecito, anche per chi ritiene che lo Stato sia indispensabile. Ciò detto, l'idea che sia quest'ultimo a garantire la pacifica convivenza tra individui è errata sia dal punto di vista logico che da quello storico.
Per la quasi totalità della sua storia, l'umanità è vissuta in assenza di organizzazioni statali. I primi Homo sapiens sono comparsi circa 300'000 anni fa, le prime città circa 10'500 anni fa, le prime città-stato circa 6'000 anni fa. Evidentemente le società umane pre-statali non erano caratterizzate da una "guerra di tutti contro tutti" - altrimenti non sarebbe stato possibile formare delle comunità, tantomeno stanziali - ma da un insieme di regole date dal buon senso e dalla necessità/volontà di convivere pacificamente con gli individui vicini [11]. E' una questione di logica: se gli individui fossero costantemente in guerra tra loro e volessero perseverare in essa, non gli verrebbe certo in mente di sottomettersi ad un unico Governo. Solo se volessero vivere in pace - pur avendo interessi contrapposti - potrebbero decidere di accordarsi su alcune regole basilari di convivenza (che peraltro non implicano affatto l'esistenza di un Governo). Non vogliamo qui discutere come si è passati dalle comunità umane pre-statali agli Stati attuali, ma dovrebbe essere chiaro che la convivenza civile sia premessa necessaria per il mantenimento di uno Stato - e non il contrario. Innumerevoli guerre civili e ribellioni hanno confermato che la coercizione statale non sia sufficiente ad imporre il rispetto delle leggi; è invece la società - intesa come insieme di individui - a decidere se le leggi siano accettabili o no.
Quanto esposto qui sopra non spiega come funzionerebbe una società libera, senza Stato; non potendo liquidare tale tematica in poche parole, vi dedicheremo un futuro articolo. Vogliamo invece concludere questa trattazione tornando alla questione originaria: perché la maggioranza delle persone ritiene accettabile la coercizione statale? Pochi(ssimi) credono alla storiella del contratto sociale, mentre quasi tutti non si pongono il problema della liceità dello Stato né, del resto, saprebbero immaginare un'alternativa praticabile. In tutto ciò, un ruolo rilevante lo hanno il monopolio dell'istruzione [12,13] ed il controllo (anche parziale [14]) dell'informazione da parte dello Stato. Ai bambini viene insegnato che lo Stato è buono, utile, indispensabile; nessun programma ministeriale metterebbe in discussione l'esistenza dei suoi apparati [15] o proporrebbe alternative non basate sulla coercizione. Nel caso degli adulti entrano in gioco anche altri fattori. Il principale è l'illusione di poter vivere sulle spalle degli altri: come notava Frédéric Bastiat già due secoli fa, lo Stato è il mezzo tramite cui tutti cercano di ottenere privilegi a spese altrui. Manca poi una diffusa conoscenza delle possibili alternative, e spesso pure la voglia di ascoltarle [16]. L'anarchia - cioè l'assenza di un Governo - viene erroneamente equiparata all'assenza di regole, perciò ritenuta utopica [17]. L'idea che una società umana possa generare un ordine spontaneo è sconosciuta ai più, nonostante ne esistano esempi lampanti come la linguaggio e la divisione del lavoro [18]. Anche chi conosce questo concetto fatica ad applicarlo coerentemente nell'ambito di una società libera.
Ciò detto, diventano sempre più evidenti le conseguenze della natura violenta e parassitaria dello Stato. La quotidiana guerra per la spartizione di potere e privilegi tra gruppi di pressione (lobby [19]) dimostra che l'espressione "bene comune" significa piuttosto il bene di qualcuno a spese degli altri. Per mantenere un apparato statale inutile ed inefficiente, il cittadino viene privato di una parte sempre più consistente dei propri redditi e risparmi; inoltre la libertà individuale viene compressa da una regolamentazione crescente, persino negli ambiti più privati. Anche chi non si ritiene anarchico/libertario riconosce le storture del sistema attuale, ma purtroppo non ha gli strumenti intellettuali per farlo in maniera coerente. Possiamo solo sperare che si diffonda una maggiore consapevolezza di cosa è davvero lo Stato, così da iniziare (perlomeno) a ridurre l'ingerenza di quest'ultimo nelle nostre vite.
Weierstrass
[1] Premessa necessaria per l'esistenza di una società è infatti la convivenza pacifica tra i suoi membri. Ciò implica che alla base dell'etica debba esserci il rigetto della violenza, cioè dell'uso della forza per aggredire gli altri individui: per definizione, non si può vivere pacificamente con gli altri se li si aggredisce o se loro ci aggrediscono. Inoltre la violenza consiste sempre nel violare una proprietà altrui: l'assassino e lo stupratore violano il corpo della vittima, così come il ladro ed il truffatore ne violano i beni materiali.
[2] Al massimo, si possono riconoscere delle attenuanti alla gravità dell'illecito in base a considerazioni ulteriori - come nel classico esempio di qualcuno che "rubi per fame". Anche in tale esempio, però, il furto rimane furto.
[3] Peraltro, nella maggior parte dei casi, il denaro preso dai cittadini non è affatto impiegato "a fin di bene". Si tratta di una valutazione soggettiva, ma dubitiamo fortemente che qualcuno ritenga "ben speso" ogni singolo euro/dollaro/... di spesa pubblica.
[2] Al massimo, si possono riconoscere delle attenuanti alla gravità dell'illecito in base a considerazioni ulteriori - come nel classico esempio di qualcuno che "rubi per fame". Anche in tale esempio, però, il furto rimane furto.
[3] Peraltro, nella maggior parte dei casi, il denaro preso dai cittadini non è affatto impiegato "a fin di bene". Si tratta di una valutazione soggettiva, ma dubitiamo fortemente che qualcuno ritenga "ben speso" ogni singolo euro/dollaro/... di spesa pubblica.
[4] Anche questa obiezione, comunque, è tipicamente falsa. Non tutta la popolazione di un determinato territorio può votare alle elezioni politiche, e non tutti quelli che possono votare vanno a farlo. Spesso, inoltre, va al Governo chi ha ottenuto una maggioranza relativa (non assoluta) dei voti. Infine, non tutte le misure prese dal Governo eletto sono approvate da chi l'ha votato alle elezioni. Insomma, è improbabile che un Governo possa rappresentare il volere della maggioranza dei votanti, e ancor meno quello della maggioranza della popolazione.
[5] Le vittime di genocidio hanno forse consentito a farsi sterminare? Nessuno lo sosterrebbe, perciò si rende necessario specificare che il contratto sociale contempli dei limiti all'azione statale (si veda la nota successiva).
[6] I teorici del contratto sociale sostengono che il patto venga annullato qualora lo Stato diventi "oppressivo" e "ingiusto" nei confronti degli individui. Ciò consentirebbe ai cittadini di ribellarsi ed instaurare un nuovo Governo. Chiaramente, le definizioni di "oppressivo" e "ingiusto" sono arbitrarie.
[7] I contrattualisti devono infatti giustificare l'introduzione di tutte le tasse e gli obblighi realmente/storicamente avvenuti. Lo Stato ha potuto imporre (per esempio) la segregazione razziale e la tassa sull'ombra poiché - secondo loro - avrebbe ricevuto un potere arbitrario e potenzialmente illimitato dai primi sottoscrittori del contratto sociale.
[8] Né darebbe a tale patto il suo "tacito accordo", come invece postulano alcuni teorici contrattualisti.
[9] Monarchie, repubbliche, oligarchie etc si sono susseguite nel tempo e nello spazio. Nel mondo attuale, gli Stati - anche quelli più autoritari - cercano di darsi una parvenza di legittimità basata sul consenso popolare, tipicamente espresso tramite elezioni più o meno regolari.
[10] Purtroppo la scelta di cosa sia "necessario" è arbitraria, lasciando aperta la strada ad interventi statali sempre maggiori e lesivi della libertà individuale. Uno Stato minimo tende inevitabilmente ad ingigantirsi.
[11] Chiaramente ladri e assassini sono sempre esistiti, così come ci sono sempre stati motivi di contrasto tra membri di una stessa comunità o di comunità diverse. Non si trattava perciò di una società perfetta, come del resto non lo può essere alcuna società umana.
[12] Non a caso, viene spesso sostenuto che la scuola serva a formare "buoni cittadini" - cioè individui che accettino lo Stato senza discutere.
[13] Indicativo della capacità propagandistica dell'istruzione statale è il fatto che nessuno si scandalizzi di tale monopolio. Ma se il monopolio statale dell'informazione verrebbe (giustamente) ritenuto pericoloso per gli individui adulti, che dovremmo dire dei pericoli posti su bambini e adolescenti dal monopolio dell'istruzione? Quest'ultimo dovrebbe essere considerato doppiamente dannoso, mentre invece viene accettato senza batter ciglio.
[14] Il ruolo dello Stato nell'informazione è tutt'altro che assente o minimale: televisioni statali, sussidi pubblici ai giornali, giornali/TV di partito.
[15] Anzi, nelle scuole è più facile sentire la tesi opposta: che servirebbero più interventi statali nella vita delle persone.
[13] Indicativo della capacità propagandistica dell'istruzione statale è il fatto che nessuno si scandalizzi di tale monopolio. Ma se il monopolio statale dell'informazione verrebbe (giustamente) ritenuto pericoloso per gli individui adulti, che dovremmo dire dei pericoli posti su bambini e adolescenti dal monopolio dell'istruzione? Quest'ultimo dovrebbe essere considerato doppiamente dannoso, mentre invece viene accettato senza batter ciglio.
[14] Il ruolo dello Stato nell'informazione è tutt'altro che assente o minimale: televisioni statali, sussidi pubblici ai giornali, giornali/TV di partito.
[15] Anzi, nelle scuole è più facile sentire la tesi opposta: che servirebbero più interventi statali nella vita delle persone.
[16] Discutere la privatizzazione di un servizio statale costituisce spesso una fatica improba, anche qualora altri paesi ne abbiano dimostrato il successo. Purtroppo la maggior parte delle persone crede alla fallacia degli unicorni: gli statali sono dipinti come intelligenti, buoni e disinteressati, mentre i privati diventano cattivi, stupidi e/o masochisti.
[17] Peraltro, la parola "anarchia" viene usurpata da forme di pensiero coercitive/stataliste come (per esempio) la maggior parte delle varianti del cosiddetto "anarco-comunismo".
[18] Nessun Governo ha inventato il linguaggio, o la moneta, o i mezzi di trasporto pubblici, o una qualsiasi delle attività umane che necessitano del coordinamento tra più individui.
[19] Contrariamente alla credenza comune, l'attività lobbistica viene intrapresa da numerose categorie e non solo da qualche multinazionale: pensionati, sindacati, taxisti, dipendenti pubblici, grandi aziende nazionali, etc. Tutti fanno pressioni sul Governo per accaparrarsi qualche vantaggio a spese altrui.
Posto che la coercizione è un male necessario, quali sono le caratteristiche di una società libera?
RispondiEliminaCi sono varie possibilità. Ci sto scrivendo un pezzo sopra, ma piuttosto lentamente.
EliminaAlcuni partono dall'idea di agenzia di sicurezza in competizione tra loro: ciascun individuo stipula un contratto con una "polizia privata" affinché lo difenda dalle aggressioni altrui. Poiché un conflitto tra due agenzie sarebbe costoso per entrambe, e spaventerebbe potenziali clienti, le agenzie sono incentivate ad accordarsi nel caso in cui il cliente di una aggredisca il cliente di un'altra. Ogni accordo e contratto (di lavoro, di compravendita, di affitto etc) verrebbe stipulato citando sia un'agenzia di arbitrato, sia un'agenzia di sicurezza per verificarne il rispetto. E così via. A partire da queste basi, si formerebbero accordi sempre più "articolati" per la fornitura dei beni e dei servizi oggi monopolizzati dallo Stato. Alcuni riferimenti (in inglese): https://www.youtube.com/watch?v=0eEjXbYTAls https://mises.org/sites/default/files/Chaos%20Theory_2.pdf https://www.youtube.com/watch?v=8kPyrq6SEL0
Un'idea (apparentemente) alternativa è quella delle città private, dove i proprietari della città offrono servizi a chi chiede di farne parte. E' già una realtà, nel senso che città private esistono già ora in varie parti del mondo. I proprietari e i cittadini firmano un contratto (con garanzia terza) in cui vengono specificate le regole e gli impegni tra le due parti. Fornitura di acqua, gas, mezzi pubblici, illuminazione stradale, sicurezza, etc così come norme anti-inquinamento, anti-vandalismo, etc. Alcuni esempi: https://www.ilfoglio.it/economia/2015/03/18/news/cosi-fioriscono-le-citta-private-antidoto-al-caos-pianificato-81985/ http://www.ilgiornale.it/news/cultura/ecco-citt-italiane-senza-stato-865796.html?mobile_detect=false https://fee.org/articles/how-policing-works-in-a-privatized-city/ https://fee.org/articles/private-cities-101/ https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1676257
Le città private potrebbero poi accordarsi tra loro per realizzare insieme progetti di comune interesse (nuove strade, per esempio) o per mutua difesa.
Il punto da tenere a mente, secondo me, è il fatto che il Governo è fatto da esseri umani: ciò che possono fare loro, lo possono fare anche dei soggetti privati. Tutti i servizi attualmente monopolizzati dallo Stato sono o sono stati svolti privatamente in qualche parte del mondo o in qualche epoca passata. Certo, oggi è difficile immaginare come funzionerebbe nel dettaglio una società libera...tanto quanto sarebbe difficile, in un mondo completamente comunista, immaginare il dettagliato funzionamento del libero mercato. Eppure sappiamo che sarebbe lecito immaginare una società non-comunista.
Alla fine della fiera, se concordiamo che la coercizione non è un bella cosa, dovremmo essere lieti di immaginare e scoprire modi per impiegarla sempre di meno, e magari per vivere senza.