La critica più frequente contro il libero mercato è che - senza l'aiuto dello Stato - i poveri verrebbero lasciati morire di fame, di freddo o senza cure mediche. Il capitalismo è un sistema immorale e i suoi sostenitori devono scegliere: abbandonare i propri principi (accettando l'intervento statale) o mostrarsi insensibili alle sofferenze altrui (rifiutandolo). Tale ragionamento si basa sulla fallacia del "bianco o nero", cioè ipotizza che esistano due sole alternative possibili; oggi vedremo invece come stanno realmente le cose.
Iniziamo col notare che spesso siano gli interventi statali a creare povertà. Le tasse (sui redditi delle persone, sui redditi d'impresa, sull'acquisto di beni, sul loro possesso, sui risparmi, etc), le restrizioni (al commercio, agli investimenti, all'ingresso in certi settori, etc) e la burocrazia riducono le opportunità di lavoro, impediscono alle persone di praticarlo o ne riducono lo stipendio effettivo, rendendole dipendenti dall'aiuto dello Stato. Senza poi considerare tutte le politiche demenziali (restrizioni alla concorrenza, tariffe minime, etc) che mantengono i prezzi di certi beni e servizi più elevati del normale, a spese della gente comune. Perciò, anziché escogitare piani statali sempre più fantasiosi per ridurre la povertà, sarebbe logico iniziare ad abolire quelli che la incrementano.
In un mercato libero dagli ostacoli sopra menzionati, la quasi totalità degli individui sarebbe autosufficiente e non dovrebbe chiedere alcun favore ai politici [1]. I soldi non-spesi dal Governo rimarrebbero nelle tasche dei cittadini, che quindi potrebbero (tra le altre cose) mantenere se stessi ed aiutare gli indigenti. In effetti, è proprio quello che si osserva nel mondo reale. I paesi con maggiore libertà economica presentano minore povertà assoluta; inoltre i loro cittadini sono più propensi a fare beneficenza. Del resto, è ovvio che sia così! Ricordiamo che opporsi all'intervento dello Stato non significa negare aiuto ai bisognosi; significa piuttosto negare che l'uso della violenza sia necessario o utile a raggiungere tal fine. Dal momento che lo Stato è un ente coercitivo e notoriamente inefficiente, ci sembra sia logico che etico [2] preferire l'assistenza privata, fatta su base volontaria e - proprio per questo - in maniera più oculata. Come suggerisce il buon senso.
Notiamo inoltre che la critica degli anticapitalisti si basi su un'ipotesi ben precisa: che la maggioranza degli elettori sia favorevole ad aiutare i poveri - altrimenti il Governo eletto non li aiuterebbe affatto. Ma, se le cose stanno così, quegli stessi elettori possono aiutare i poveri direttamente, senza bisogno di interventi statali. Anzi: in un'economia libera, basta una minoranza di buoni samaritani per aiutare le persone in difficoltà. Questo non è vero in un paese statalista, dove il Governo sceglie come spendere buona parte del reddito e dei risparmi dei cittadini: se la maggioranza se ne frega dei poveri, il Governo spende (e quindi tassa) quei soldi per altri scopi, lasciando ai buoni samaritani meno risorse per aiutare i bisognosi. Dunque la condizione più favorevole per combattere la povertà è proprio il libero mercato [3].
Del resto, l'idea che solo lo Stato possa aiutare i poveri - senza contemporaneamente crearli - si basa su una favola: quella di (tar)tassare solo chi è "ricco". Il problema è che i produttori di ricchezza e i risparmiatori non stanno certo lì a farsi spennare. Semplicemente, si adattano al regime fiscale tramite i numerosi - e leciti - metodi a loro disposizione: scaricare il costo sui clienti (es. sui consumatori), ridurre gli stipendi dei dipendenti, eludere le tasse. Al limite, lavorare/risparmiare di meno oppure emigrare verso Stati meno tassaioli. Ecco spiegato perché, nel mondo reale, tutti i paesi con un esteso "Stato sociale" siano costretti a tassare anche le classi medio-basse e cerchino di razionare le prestazioni elargite. Non si può dare tutto a tutti, tantomeno sperando che siano "pochi ricchi" a pagarne il prezzo. Anche perché - numeri alla mano - espropriare tutte le ricchezze di quest'ultimi non basterebbe a finanziare nemmeno un anno degli attuali sistemi di welfare.
Vogliamo infine smontare le prediche anticapitaliste con un semplicissimo esempio. Supponiamo che una persona adulta ed in salute scelga di non lavorare, pretendendo di farsi mantenere dallo Stato. Chiediamo quindi ai nostri amici moralisti: volete obbligare voi stessi e le altre persone a spesare tale individuo...o rifiutate tale obbligo, lasciandolo (potenzialmente) morire di fame/freddo/etc? Se favorevoli, stanno sostenendo una forma di schiavismo: vogliono obbligare qualcuno a lavorare gratis per qualcun altro. Di certo non c'è alcuna moralità nello schiavizzare altri esseri umani, e infatti la maggior parte degli anticapitalisti non arriva a chiedere tanto. Se si dichiarano contrari, però, ammettono che non esista il diritto a farsi mantenere dagli altri, che l'aiuto non sia scontato e, piuttosto, debba essere "meritato" in qualche maniera [4]. Anch'essi ritengono accettabile per una persona patire la fame, il freddo e la mancanza di cure mediche, se non merita di essere aiutata. In entrambi i casi, abbiamo mandato a farsi benedire la supposta "moralità" dell'anticapitalismo.
Notiamo inoltre che il concetto di "merito" sia soggettivo: ognuno lo valuta in modo diverso. Che dire di una persona resa povera dall'aver investito i suoi soldi in maniera sconsiderata? Di una che perde denaro al gioco d'azzardo? Di una che, pur sapendolo, ha fatto studi inutili per la ricerca di un lavoro? Di una che ha messo al mondo troppi figli? Si possono immaginare innumerevoli esempi con dettagli e sfumature diverse, tali che alcuni anticapitalisti siano disposti ad aiutare il bisognoso ed altri no. Non esiste alcun criterio oggettivo in questo senso. Quindi il libero mercato garantisce a ognuno la libertà di scelta, cioè di aiutare o di non aiutare una persona bisognosa, mentre l'anticapitalismo pretende di imporre a tutti il criterio scelto dai politici al potere (nonostante sia necessariamente arbitrario).
In conclusione, l'unica e vera immoralità sta nel voler negare la libertà individuale - proprio quella su cui si fonda il libero mercato.
In un mercato libero dagli ostacoli sopra menzionati, la quasi totalità degli individui sarebbe autosufficiente e non dovrebbe chiedere alcun favore ai politici [1]. I soldi non-spesi dal Governo rimarrebbero nelle tasche dei cittadini, che quindi potrebbero (tra le altre cose) mantenere se stessi ed aiutare gli indigenti. In effetti, è proprio quello che si osserva nel mondo reale. I paesi con maggiore libertà economica presentano minore povertà assoluta; inoltre i loro cittadini sono più propensi a fare beneficenza. Del resto, è ovvio che sia così! Ricordiamo che opporsi all'intervento dello Stato non significa negare aiuto ai bisognosi; significa piuttosto negare che l'uso della violenza sia necessario o utile a raggiungere tal fine. Dal momento che lo Stato è un ente coercitivo e notoriamente inefficiente, ci sembra sia logico che etico [2] preferire l'assistenza privata, fatta su base volontaria e - proprio per questo - in maniera più oculata. Come suggerisce il buon senso.
Notiamo inoltre che la critica degli anticapitalisti si basi su un'ipotesi ben precisa: che la maggioranza degli elettori sia favorevole ad aiutare i poveri - altrimenti il Governo eletto non li aiuterebbe affatto. Ma, se le cose stanno così, quegli stessi elettori possono aiutare i poveri direttamente, senza bisogno di interventi statali. Anzi: in un'economia libera, basta una minoranza di buoni samaritani per aiutare le persone in difficoltà. Questo non è vero in un paese statalista, dove il Governo sceglie come spendere buona parte del reddito e dei risparmi dei cittadini: se la maggioranza se ne frega dei poveri, il Governo spende (e quindi tassa) quei soldi per altri scopi, lasciando ai buoni samaritani meno risorse per aiutare i bisognosi. Dunque la condizione più favorevole per combattere la povertà è proprio il libero mercato [3].
Del resto, l'idea che solo lo Stato possa aiutare i poveri - senza contemporaneamente crearli - si basa su una favola: quella di (tar)tassare solo chi è "ricco". Il problema è che i produttori di ricchezza e i risparmiatori non stanno certo lì a farsi spennare. Semplicemente, si adattano al regime fiscale tramite i numerosi - e leciti - metodi a loro disposizione: scaricare il costo sui clienti (es. sui consumatori), ridurre gli stipendi dei dipendenti, eludere le tasse. Al limite, lavorare/risparmiare di meno oppure emigrare verso Stati meno tassaioli. Ecco spiegato perché, nel mondo reale, tutti i paesi con un esteso "Stato sociale" siano costretti a tassare anche le classi medio-basse e cerchino di razionare le prestazioni elargite. Non si può dare tutto a tutti, tantomeno sperando che siano "pochi ricchi" a pagarne il prezzo. Anche perché - numeri alla mano - espropriare tutte le ricchezze di quest'ultimi non basterebbe a finanziare nemmeno un anno degli attuali sistemi di welfare.
Vogliamo infine smontare le prediche anticapitaliste con un semplicissimo esempio. Supponiamo che una persona adulta ed in salute scelga di non lavorare, pretendendo di farsi mantenere dallo Stato. Chiediamo quindi ai nostri amici moralisti: volete obbligare voi stessi e le altre persone a spesare tale individuo...o rifiutate tale obbligo, lasciandolo (potenzialmente) morire di fame/freddo/etc? Se favorevoli, stanno sostenendo una forma di schiavismo: vogliono obbligare qualcuno a lavorare gratis per qualcun altro. Di certo non c'è alcuna moralità nello schiavizzare altri esseri umani, e infatti la maggior parte degli anticapitalisti non arriva a chiedere tanto. Se si dichiarano contrari, però, ammettono che non esista il diritto a farsi mantenere dagli altri, che l'aiuto non sia scontato e, piuttosto, debba essere "meritato" in qualche maniera [4]. Anch'essi ritengono accettabile per una persona patire la fame, il freddo e la mancanza di cure mediche, se non merita di essere aiutata. In entrambi i casi, abbiamo mandato a farsi benedire la supposta "moralità" dell'anticapitalismo.
Notiamo inoltre che il concetto di "merito" sia soggettivo: ognuno lo valuta in modo diverso. Che dire di una persona resa povera dall'aver investito i suoi soldi in maniera sconsiderata? Di una che perde denaro al gioco d'azzardo? Di una che, pur sapendolo, ha fatto studi inutili per la ricerca di un lavoro? Di una che ha messo al mondo troppi figli? Si possono immaginare innumerevoli esempi con dettagli e sfumature diverse, tali che alcuni anticapitalisti siano disposti ad aiutare il bisognoso ed altri no. Non esiste alcun criterio oggettivo in questo senso. Quindi il libero mercato garantisce a ognuno la libertà di scelta, cioè di aiutare o di non aiutare una persona bisognosa, mentre l'anticapitalismo pretende di imporre a tutti il criterio scelto dai politici al potere (nonostante sia necessariamente arbitrario).
In conclusione, l'unica e vera immoralità sta nel voler negare la libertà individuale - proprio quella su cui si fonda il libero mercato.
Weierstrass
[1] Chiaramente i politici avrebbero molto meno potere e prestigio nella società, da cui si capisce perché - tendenzialmente - si oppongano a ridimensionare il ruolo dello Stato.
[2] Ricordiamo che non c'è alcun merito nel "fare beneficenza coi soldi altrui", cioè col denaro estorto ad altre persone. L'unica e vera beneficenza si fa coi propri averi.
[3] Cioè un Governo minimo o del tutto assente.
[4] Di fronte all'esempio sopra citato, la tipica obiezione consiste nel dire che l'aiuto si possa negare agli "scansafatiche" (es. chi non vuole lavorare), ma non alle persone "sfortunate" (es. chi non trova lavoro). Il problema di questa distinzione - come spiegato nel resto dell'articolo - è la sua natura soggettiva: chi decide chi ricade nelle due categorie? Aldilà di questo non-trascurabile dettaglio, resta il fatto che il "lasciar morire di fame" non è affatto un tabù per i critici del capitalismo. Al contrario di quello che vorrebbero far credere.
[4] Di fronte all'esempio sopra citato, la tipica obiezione consiste nel dire che l'aiuto si possa negare agli "scansafatiche" (es. chi non vuole lavorare), ma non alle persone "sfortunate" (es. chi non trova lavoro). Il problema di questa distinzione - come spiegato nel resto dell'articolo - è la sua natura soggettiva: chi decide chi ricade nelle due categorie? Aldilà di questo non-trascurabile dettaglio, resta il fatto che il "lasciar morire di fame" non è affatto un tabù per i critici del capitalismo. Al contrario di quello che vorrebbero far credere.
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