Seconda ed ultima parte dedicata al taglio delle tasse e ai suoi effetti sulla crescita economica. Qui la prima parte.
Nella prima parte di questa mini-trattazione abbiamo spiegato in cosa consistono le curve di Laffer e di Armey-Rahn: la prima descrive la relazione tra tasse ed entrate fiscali, mentre la seconda confronta le dimensioni dell'intervento statale e la crescita economica. I concetti da tenere a mente sono essenzialmente due:
Nella prima parte di questa mini-trattazione abbiamo spiegato in cosa consistono le curve di Laffer e di Armey-Rahn: la prima descrive la relazione tra tasse ed entrate fiscali, mentre la seconda confronta le dimensioni dell'intervento statale e la crescita economica. I concetti da tenere a mente sono essenzialmente due:
- aumentare le tasse riduce la crescita economica e, oltre un certo livello di tassazione, si riducono anche le entrate fiscali;
- espandere oltre lo stretto necessario [1] gli interventi dello Stato nell'economia riduce la crescita economica.
Aggiungiamo però alcune considerazioni. Si possono definire una curva di Laffer per ogni forma di tassazione, ed una curva di Armey-Rahn per ogni forma di interventismo statale. Per esempio, esistono tasse più dannose di altre [2], così come alcuni tagli fiscali sono più utili di altri. Viceversa, uno Stato che interviene "poco, ma male" può avere performance peggiori di uno che lo fa "troppo, ma meglio" [3].
Non solo: si possono definire curve di Laffer e di Armey-Rahn per orizzonti temporali di qualsiasi lunghezza (1 anno, 5 anni, etc). Per esempio, un certo livello di tassazione può garantire il massimo delle entrate fiscali nell'anno in corso, ma in quello successivo gli introiti diminuiranno per effetto della contrazione economica risultante. Per massimizzare le entrate tra 10 anni, allora, si dovrebbe scegliere un livello di tassazione più basso, che consenta di aumentare gradualmente gli introiti fiscali man mano che si espande l'attività economica.
Infine, è difficile confrontare direttamente paesi diversi. Per esempio, un paese ricco può sostenere livelli di tassazione maggiori rispetto ad uno povero. La demografia, la cultura e l'organizzazione sociale di un popolo possono influire sulla capacità del suo Governo di raccogliere tasse. E così via.
Tutto ciò considerato, un economista di libero mercato suggerisce di tagliare gli sprechi per rendere la spesa pubblica più efficiente, ridurre il perimetro dello Stato al minimo indispensabile (o quasi), semplificare il sistema fiscale [4], ed infine diminuire le tasse al livello necessario per pareggiare il bilancio pubblico. Queste proposte vengono dette "dal lato dell'offerta" (supply-side), poiché - appunto - si concentrano sul migliorare la produzione (e quindi l'offerta) di beni e servizi da parte degli agenti economici; in tal modo, si garantisce al paese una crescita di lungo periodo.
Una delle tante misure coerenti con tale impostazione è la riduzione delle aliquote sui redditi più elevati. Infatti ogni Stato adotta una tassazione tipicamente progressiva, cioè proporzionalmente maggiore all'aumentare del reddito imponibile; dal punto di vista economico, però, tale approccio costituisce un evidente disincentivo dal guadagnare redditi superiori alla soglia (o alle soglie) indicata dal Governo, e cioè dal produrre un maggior numero di beni/servizi utili alla società. Ovviamente una tassazione punitiva sui redditi elevati può anche essere elusa [5] dai diretti interessati. Dunque si può concludere che, nella migliore delle ipotesi, aliquote marginali elevate siano un'inutile complicazione del sistema fiscale, e che nella peggiore costituiscano una zavorra alla crescita. Ha quindi senso eliminarle o, perlomeno, ridurle il più possibile.
Chi si dichiara contrario ai tagli delle tasse dovrebbe rispondere nel merito dei suddetti argomenti - compito indubbiamente arduo, dal momento che si basano sui principi della logica economica. Da molti anni, invece, gli opinionisti "di sinistra" hanno preso la disdicevole abitudine di usare un argomento fantoccio: la "teoria dello sgocciolamento" (trickle-down economics). Tale pratica consiste nell'accusare gli economisti supply-side di voler ridurre le aliquote marginali solo perché credono che la ricchezza "percolerà", in qualche modo (!), dai ricchi ai poveri. Si tratta di un mito - nessun economista, per ovvie ragioni [6], ha mai sostenuto una teoria del genere - funzionale ad evitare il vero dibattito, quello che metterebbe i sinistrorsi di fronte alle proprie contraddizioni logiche [7]. Ça va sans dire, è proprio questo il motivo per cui il mito è così diffuso. Di fronte a tale fallacia argomentativa, basta quindi ribadire la logica economica: gli standard di vita di una società progrediscono quando migliora la sua capacità produttiva, la quale dipende dagli incentivi economici dei produttori, fra i quali c'è anche (in senso negativo) la tassazione.
CONCLUSIONE
In questa breve trattazione abbiamo spiegato in che modo le tasse e le "dimensioni" dell'intervento statale influenzino la crescita di un paese ed il suo livello di entrate fiscali. Se da un lato è sbagliato pensare che un taglio delle tasse si ripaghi da solo, dall'altra è ugualmente sbagliato credere che gli agenti economici siano indifferenti al livello di tassazione. In ultima analisi, la scelta delle politiche fiscali dipende da quale obiettivo si vuole raggiungere e da quale orizzonte temporale si sta considerando. Se si vuole favorire la crescita economica nel lungo periodo, le ricette "dal lato dell'offerta" sono quelle giuste da seguire.
Infine, è difficile confrontare direttamente paesi diversi. Per esempio, un paese ricco può sostenere livelli di tassazione maggiori rispetto ad uno povero. La demografia, la cultura e l'organizzazione sociale di un popolo possono influire sulla capacità del suo Governo di raccogliere tasse. E così via.
Tutto ciò considerato, un economista di libero mercato suggerisce di tagliare gli sprechi per rendere la spesa pubblica più efficiente, ridurre il perimetro dello Stato al minimo indispensabile (o quasi), semplificare il sistema fiscale [4], ed infine diminuire le tasse al livello necessario per pareggiare il bilancio pubblico. Queste proposte vengono dette "dal lato dell'offerta" (supply-side), poiché - appunto - si concentrano sul migliorare la produzione (e quindi l'offerta) di beni e servizi da parte degli agenti economici; in tal modo, si garantisce al paese una crescita di lungo periodo.
Una delle tante misure coerenti con tale impostazione è la riduzione delle aliquote sui redditi più elevati. Infatti ogni Stato adotta una tassazione tipicamente progressiva, cioè proporzionalmente maggiore all'aumentare del reddito imponibile; dal punto di vista economico, però, tale approccio costituisce un evidente disincentivo dal guadagnare redditi superiori alla soglia (o alle soglie) indicata dal Governo, e cioè dal produrre un maggior numero di beni/servizi utili alla società. Ovviamente una tassazione punitiva sui redditi elevati può anche essere elusa [5] dai diretti interessati. Dunque si può concludere che, nella migliore delle ipotesi, aliquote marginali elevate siano un'inutile complicazione del sistema fiscale, e che nella peggiore costituiscano una zavorra alla crescita. Ha quindi senso eliminarle o, perlomeno, ridurle il più possibile.
Chi si dichiara contrario ai tagli delle tasse dovrebbe rispondere nel merito dei suddetti argomenti - compito indubbiamente arduo, dal momento che si basano sui principi della logica economica. Da molti anni, invece, gli opinionisti "di sinistra" hanno preso la disdicevole abitudine di usare un argomento fantoccio: la "teoria dello sgocciolamento" (trickle-down economics). Tale pratica consiste nell'accusare gli economisti supply-side di voler ridurre le aliquote marginali solo perché credono che la ricchezza "percolerà", in qualche modo (!), dai ricchi ai poveri. Si tratta di un mito - nessun economista, per ovvie ragioni [6], ha mai sostenuto una teoria del genere - funzionale ad evitare il vero dibattito, quello che metterebbe i sinistrorsi di fronte alle proprie contraddizioni logiche [7]. Ça va sans dire, è proprio questo il motivo per cui il mito è così diffuso. Di fronte a tale fallacia argomentativa, basta quindi ribadire la logica economica: gli standard di vita di una società progrediscono quando migliora la sua capacità produttiva, la quale dipende dagli incentivi economici dei produttori, fra i quali c'è anche (in senso negativo) la tassazione.
CONCLUSIONE
In questa breve trattazione abbiamo spiegato in che modo le tasse e le "dimensioni" dell'intervento statale influenzino la crescita di un paese ed il suo livello di entrate fiscali. Se da un lato è sbagliato pensare che un taglio delle tasse si ripaghi da solo, dall'altra è ugualmente sbagliato credere che gli agenti economici siano indifferenti al livello di tassazione. In ultima analisi, la scelta delle politiche fiscali dipende da quale obiettivo si vuole raggiungere e da quale orizzonte temporale si sta considerando. Se si vuole favorire la crescita economica nel lungo periodo, le ricette "dal lato dell'offerta" sono quelle giuste da seguire.
Weierstrass
Addendum 13/02/2022: sullo stesso argomento e, in particolare, sul fatto che esistano molte curve di Laffer, segnaliamo l'articolo "Deconstructing the Laffer Curve(s)"di Daniel J. Mitchell.
[1] Ricordiamo - come abbiamo fatto nella prima parte - che l'esistenza di un ruolo minimo ed "ottimale" per l'intervento statale deriva dall'ipotesi che solo lo Stato possa fornire certi servizi. Nella misura in cui questo non fosse vero, la curva di Armey-Rahn assumerebbe un andamento di tipo decadimento esponenziale.
[2] Celebre il caso della tassa - (re)introdotta dal Governo Monti nel dicembre 2011 - sullo stazionamento delle unità da diporto. Si trattava di un evidente incentivo a trasferire le imbarcazioni in un porto straniero (francese, greco, croato etc) al fine di evitare il balzello. Non solo il gettito della tassa fu minore delle previsioni, ma si persero posti di lavoro ed introiti fiscali dal settore nautico legato alle unità da diporto. La tassa fu rapidamente (marzo 2012) trasformata in imposta sul possesso delle imbarcazioni, così da fermarne la fuga, ma ormai il danno era fatto. Si noti comunque che anche la tassa sul possesso sia una misura demenziale: alla lunga, incentiva a comprare (e quindi produrre) meno imbarcazioni, e quindi a causare gli stessi effetti - licenziamenti e calo di fatturato - della tassa di stazionamento.
[3] Uno Stato che abbia una spesa pubblica piccola (rispetto al PIL) ma finalizzata solo ad elargire privilegi alla classe politico-burocratica avrà minore crescita rispetto a uno Stato che spenda un po' di più per garantire certezza del diritto e protezione dei cittadini.
[4] Soprattutto evitando trattamenti privilegiati per alcuni e punitivi per altri, e riducendo il tempo ed il denaro necessari a svolgere gli adempimenti fiscali.
[5] Un indizio importante che la composizione dei redditi delle persone ricche venga adeguata al sistema fiscale (in modo da eludere le tasse più gravose) viene dall'esperienza americana e, in particolare, dalle amministrazioni Kennedy e Reagan. Entrambe attuarono drastici tagli delle aliquote marginali, ottenendo un livello pressoché inalterato degli introiti fiscali (anziché un corrispondente calo, come ci si sarebbe potuti aspettare).
[6] Se l'obiettivo fosse quello di far "arrivare" denaro ai poveri, sarebbe più semplice darglielo direttamente. Lo scopo delle politiche dal lato dell'offerta, invece, è migliorare la produzione di beni e, di conseguenza, gli standard di vita della popolazione. E' la stessa differenza che passa tra redistribuire la ricchezza esistente, da un lato, e aumentare la quantità di ricchezza disponibile per la società, dall'altro.
[7] Si può solo immaginare l'imbarazzo di chi, auspicando spesso e volentieri tasse punitive su determinati beni al fine di scoraggiarne la produzione, si trovi a spiegare perché una tassazione punitiva sui redditi elevati non scoraggerebbe dal guadagnarli.
[5] Un indizio importante che la composizione dei redditi delle persone ricche venga adeguata al sistema fiscale (in modo da eludere le tasse più gravose) viene dall'esperienza americana e, in particolare, dalle amministrazioni Kennedy e Reagan. Entrambe attuarono drastici tagli delle aliquote marginali, ottenendo un livello pressoché inalterato degli introiti fiscali (anziché un corrispondente calo, come ci si sarebbe potuti aspettare).
[6] Se l'obiettivo fosse quello di far "arrivare" denaro ai poveri, sarebbe più semplice darglielo direttamente. Lo scopo delle politiche dal lato dell'offerta, invece, è migliorare la produzione di beni e, di conseguenza, gli standard di vita della popolazione. E' la stessa differenza che passa tra redistribuire la ricchezza esistente, da un lato, e aumentare la quantità di ricchezza disponibile per la società, dall'altro.
[7] Si può solo immaginare l'imbarazzo di chi, auspicando spesso e volentieri tasse punitive su determinati beni al fine di scoraggiarne la produzione, si trovi a spiegare perché una tassazione punitiva sui redditi elevati non scoraggerebbe dal guadagnarli.
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