Quarta puntata dedicata agli errori ontenuti nel libro "Il capitale nel XXI secolo" scritto dall'economista francese Thomas Piketty. Qui la terza parte.
Abbiamo visto che la teoria di Piketty presenta varie criticità. Per esempio, è altamente improbabile che il rapporto capitale/PIL cresca a causa della terza "legge fondamentale" (r > g). Inoltre la prima legge e la seconda vengono usate da Piketty in maniera contraddittoria.
Consideriamo ora il punto n° 3, ovvero la presunta relazione tra la quota netta del PIL relativa al reddito da capitale (α) e le disuguaglianze. Infatti la tesi di fondo de "Il capitale nel XXI secolo" è che il reddito da capitale venga impiegato per aumentare il capitale stesso, cosa che - a sua volta - comporterà un maggiore reddito da capitale. E così via. Tale spirale produrrà una sempre maggiore disuguaglianza di ricchezza tra i capitalisti e i non-capitalisti. Tuttavia, oltre agli errori sopra menzionati, tale narrazione ne contiene diversi altri.
La disuguaglianza della ricchezza deriva dal fatto che alcuni risparmiano più di altri, e non c'è alcuna differenza se ad essere risparmiato sia il reddito da capitale o (per esempio) quello da lavoro. Indipendentemente dalla natura del/i reddito/i che riceve, una persona diventa tanto più ricca quanto maggiore è la parte che ne risparmia. Le leggi di Piketty non dicono nulla sul risparmio dei non-capitalisti (e, per la verità, dicono poco anche su quello dei capitalisti). Basandosi su di esse, non c'è modo di stabilire se le disuguaglianze di reddito o di ricchezza tendano a crescere o a diminuire in un libero mercato. Bisognerebbe piuttosto interrogarsi sulla differenza tra il tasso di risparmio dei più ricchi e quello dei più poveri; su quanta ricchezza ereditata riesca a sopravvivere durante generazioni successive; etc [1].
Il capitale, di per sé, c'entra ben poco con le disuguaglianze. Non solo perché il meccanismo descritto da Piketty - come abbiamo visto [2] - è implausibile, ma anche perché non tiene conto di due fattori importanti. Primo: i non-capitalisti possono impiegare i propri risparmi (o prendere a prestito quelli dei capitalisti) per acquistare capitale, a maggior ragione se si ipotizza (come fa Piketty) un tasso di rendimento elevato [3]. Se il possesso di capitale diventasse diffuso, il reddito e la ricchezza dei "vecchi capitalisti" tenderebbe a crescere con la stessa velocità del resto della popolazione, cioè dei "nuovi capitalisti" [4]. Le disuguaglianze cesserebbero di aumentare.
Secondo: il tasso di rendimento del capitale non è omogeneo. Gli azionisti di un'azienda in fallimento ricevono un rendimento negativo; quelli di un'azienda innovativa ne ricevono uno positivo e (magari) superiore alla media; e così via. Il semplice fatto di possedere dei mezzi di produzione non garantisce nulla. Il rendimento di un certo capitale dipende da numerose variabili, e lì entra in gioco l'imprenditorialità di chi investe il proprio denaro. Quindi il rendimento medio netto del capitale può essere positivo, ma sotto questo dato si nascondono sia "vincitori" che "perdenti", persone che hanno investito bene ed altre che hanno investito male. Detto in altri termini, non si può sapere se chi possiede (molto) capitale oggi lo possiederà anche domani, o dopodomani, o se invece lo perderà a causa di investimenti sbagliati. Il gruppo dei "capitalisti ricchi" di cui si preoccupa Piketty non è composto dalle stesse persone ogni anno, ma è soggetto ad un continuo ricambio. Anche questo fattore contribuisce a smontare la sua previsione di crescenti disuguaglianze.
Tutto ciò detto, vale la pena chiedersi se le disuguaglianze prodotte da un libero mercato siano davvero un problema da scongiurare (punto n° 4). Abbiamo trattato questo argomento in un articolo precedente, ma consideriamo anche il punto di vista di Piketty:
E' sicuramente vero che la ricchezza accumulata/ereditata serva (per sé o per i propri figli) ad ostacolare una discesa "verso il basso" nella scala sociale. Ma serve anche da trampolino di lancio per andare "verso l'alto". Detto in altri termini, i risparmi (di cui l'eredità fa parte) sono utili tanto per i più ricchi quanto per i meno ricchi. Peraltro la ricchezza ereditata sopravvive solo se viene impiegata saggiamente, cioè in maniera produttiva. Essa stessa è un motore della mobilità sociale: chi la impiega bene "va su", e viceversa.
Non c'è motivo, poi, per sostenere che la ricchezza accumulata ostacoli gli investimenti di chi "viene dal basso". Anzi: un sistema economico che premi il risparmio (anziché punirlo) produce somme maggiori da destinare agli investimenti, rendendoli accessibili ad una più larga fascia di persone [5]. Viceversa, l'introduzione o l'aumento di tasse che puniscano redditi elevati e risparmio [6] avrebbe proprio l'effetto opposto: riduzione degli investimenti e della crescita economica.
In sostanza, Piketty non riconosce appieno il ruolo del risparmio (eredità compresa) nello sviluppo economico e nella mobilità sociale. Inoltre trascura gli effetti negativi delle sue proposte sulla crescita economica.
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Weierstrass
[1] Basti pensare che, nel caso di più figli, l'eredità verrà equamente divisa. Ceteris paribus, cioè tenderà a ridurre le disuguaglianze: anziché un gruppo familiare con ricchezza X, se ne avranno (per esempio) due con ricchezza X/2 o tre con X/3.
[2] Il tasso di rendimento del capitale, al netto del deprezzamento e di tutti i suoi usi che non comportano l'acquisto diretto di capitale, dovrebbe superare continuamente il tasso di crescita economica. Fatti due conti, si tratta di una condizione difficile da soddisfare. Proibitiva, considerando la legge dei rendimenti decrescenti.
[3] Maggiore il tasso di rendimento del capitale, maggiore l'incentivo a risparmiare per acquistare capitale.
[4] Se il tasso di rendimento è uguale per tutti i possessori di capitale, la velocità di crescita della ricchezza accumulata dipende solo dal tasso di risparmio. Via via che i nuovi capitalisti ricevono un reddito maggiore, il loro tasso di risparmio si "avvicina" a quello dei vecchi capitalisti.
[5] Ceteris paribus, il credito necessario per fare tali investimenti sarà accessibile a tassi d'interesse minori.
[6] La ricchezza ereditata dai figli è il risparmio dei genitori.
Consideriamo ora il punto n° 3, ovvero la presunta relazione tra la quota netta del PIL relativa al reddito da capitale (α) e le disuguaglianze. Infatti la tesi di fondo de "Il capitale nel XXI secolo" è che il reddito da capitale venga impiegato per aumentare il capitale stesso, cosa che - a sua volta - comporterà un maggiore reddito da capitale. E così via. Tale spirale produrrà una sempre maggiore disuguaglianza di ricchezza tra i capitalisti e i non-capitalisti. Tuttavia, oltre agli errori sopra menzionati, tale narrazione ne contiene diversi altri.
La disuguaglianza della ricchezza deriva dal fatto che alcuni risparmiano più di altri, e non c'è alcuna differenza se ad essere risparmiato sia il reddito da capitale o (per esempio) quello da lavoro. Indipendentemente dalla natura del/i reddito/i che riceve, una persona diventa tanto più ricca quanto maggiore è la parte che ne risparmia. Le leggi di Piketty non dicono nulla sul risparmio dei non-capitalisti (e, per la verità, dicono poco anche su quello dei capitalisti). Basandosi su di esse, non c'è modo di stabilire se le disuguaglianze di reddito o di ricchezza tendano a crescere o a diminuire in un libero mercato. Bisognerebbe piuttosto interrogarsi sulla differenza tra il tasso di risparmio dei più ricchi e quello dei più poveri; su quanta ricchezza ereditata riesca a sopravvivere durante generazioni successive; etc [1].
Il capitale, di per sé, c'entra ben poco con le disuguaglianze. Non solo perché il meccanismo descritto da Piketty - come abbiamo visto [2] - è implausibile, ma anche perché non tiene conto di due fattori importanti. Primo: i non-capitalisti possono impiegare i propri risparmi (o prendere a prestito quelli dei capitalisti) per acquistare capitale, a maggior ragione se si ipotizza (come fa Piketty) un tasso di rendimento elevato [3]. Se il possesso di capitale diventasse diffuso, il reddito e la ricchezza dei "vecchi capitalisti" tenderebbe a crescere con la stessa velocità del resto della popolazione, cioè dei "nuovi capitalisti" [4]. Le disuguaglianze cesserebbero di aumentare.
Secondo: il tasso di rendimento del capitale non è omogeneo. Gli azionisti di un'azienda in fallimento ricevono un rendimento negativo; quelli di un'azienda innovativa ne ricevono uno positivo e (magari) superiore alla media; e così via. Il semplice fatto di possedere dei mezzi di produzione non garantisce nulla. Il rendimento di un certo capitale dipende da numerose variabili, e lì entra in gioco l'imprenditorialità di chi investe il proprio denaro. Quindi il rendimento medio netto del capitale può essere positivo, ma sotto questo dato si nascondono sia "vincitori" che "perdenti", persone che hanno investito bene ed altre che hanno investito male. Detto in altri termini, non si può sapere se chi possiede (molto) capitale oggi lo possiederà anche domani, o dopodomani, o se invece lo perderà a causa di investimenti sbagliati. Il gruppo dei "capitalisti ricchi" di cui si preoccupa Piketty non è composto dalle stesse persone ogni anno, ma è soggetto ad un continuo ricambio. Anche questo fattore contribuisce a smontare la sua previsione di crescenti disuguaglianze.
Il capitalismo e le forze di mercato possono portare innovazioni e migliori standard di vita - ci credo davvero. Entro un certo livello, anche la disuguaglianza può essere positiva, perché comunque si possono ottenere innovazioni e crescita economica. Ma il problema è che, quando la disuguaglianza diventa troppo estrema, può danneggiare la crescita. Può ridurre la mobilità sociale, rendere più difficile ai nuovi gruppi di fare i giusti investimenti per entrare nel processo economico.Secondo questo modo di vedere le cose, i figli dei ricchi (grazie alla ricchezza ereditata) riusciranno a rimanere ricchi, impedendo la "scalata sociale" ai poveri. E' qui che lo Stato - secondo Piketty - dovrebbe agire per redistribuire la ricchezza.
E' sicuramente vero che la ricchezza accumulata/ereditata serva (per sé o per i propri figli) ad ostacolare una discesa "verso il basso" nella scala sociale. Ma serve anche da trampolino di lancio per andare "verso l'alto". Detto in altri termini, i risparmi (di cui l'eredità fa parte) sono utili tanto per i più ricchi quanto per i meno ricchi. Peraltro la ricchezza ereditata sopravvive solo se viene impiegata saggiamente, cioè in maniera produttiva. Essa stessa è un motore della mobilità sociale: chi la impiega bene "va su", e viceversa.
Non c'è motivo, poi, per sostenere che la ricchezza accumulata ostacoli gli investimenti di chi "viene dal basso". Anzi: un sistema economico che premi il risparmio (anziché punirlo) produce somme maggiori da destinare agli investimenti, rendendoli accessibili ad una più larga fascia di persone [5]. Viceversa, l'introduzione o l'aumento di tasse che puniscano redditi elevati e risparmio [6] avrebbe proprio l'effetto opposto: riduzione degli investimenti e della crescita economica.
In sostanza, Piketty non riconosce appieno il ruolo del risparmio (eredità compresa) nello sviluppo economico e nella mobilità sociale. Inoltre trascura gli effetti negativi delle sue proposte sulla crescita economica.
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Weierstrass
[1] Basti pensare che, nel caso di più figli, l'eredità verrà equamente divisa. Ceteris paribus, cioè tenderà a ridurre le disuguaglianze: anziché un gruppo familiare con ricchezza X, se ne avranno (per esempio) due con ricchezza X/2 o tre con X/3.
[2] Il tasso di rendimento del capitale, al netto del deprezzamento e di tutti i suoi usi che non comportano l'acquisto diretto di capitale, dovrebbe superare continuamente il tasso di crescita economica. Fatti due conti, si tratta di una condizione difficile da soddisfare. Proibitiva, considerando la legge dei rendimenti decrescenti.
[3] Maggiore il tasso di rendimento del capitale, maggiore l'incentivo a risparmiare per acquistare capitale.
[4] Se il tasso di rendimento è uguale per tutti i possessori di capitale, la velocità di crescita della ricchezza accumulata dipende solo dal tasso di risparmio. Via via che i nuovi capitalisti ricevono un reddito maggiore, il loro tasso di risparmio si "avvicina" a quello dei vecchi capitalisti.
[5] Ceteris paribus, il credito necessario per fare tali investimenti sarà accessibile a tassi d'interesse minori.
[6] La ricchezza ereditata dai figli è il risparmio dei genitori.
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