Un argomento ricorrente nel dibattito politico riguarda le imposte sui redditi e sulla ricchezza. Spesso viene dato per scontato che i "ricchi" (cioè coloro che percepiscono redditi più elevati e/o hanno più risparmi/proprietà rispetto alla media) debbano pagare più tasse degli altri cittadini - non solo in valore assoluto, ma anche in proporzione al reddito percepito e al patrimonio posseduto [1]. Tale principio - la progressività fiscale - viene talvolta giustificato citando a sproposito la legge dell'utilità marginale decrescente.
L'argomento che andiamo a considerare richiama la nota legge economica - "all'aumentare del consumo di un bene, la quantità di soddisfazione aggiuntiva va a diminuire" - per sostenere che i ricchi traggano "poca soddisfazione" dalla propria ricchezza (o, perlomeno, da una parte di essa), e che quindi la si possa redistribuire per aumentare la soddisfazione dei poveri. Vediamo i passaggi del ragionamento statalista:
Cerchiamo di spiegare questi concetti in parole povere. Ogni individuo valuta e ordina i beni in base alle proprie preferenze (che ovviamente sono diverse da quelle degli altri individui). Tizio preferisce il gelato alla fragola rispetto a quello al cioccolato, ma non può quantificare quanto: non ha senso sostenere che, per lui, l'utilità del gelato alla fragola sia doppia o tripla rispetto a quella del gelato al cioccolato. Ancora più insensato sarebbe sostenere che l'utilità del gelato alla fragola per Tizio sia doppia o tripla rispetto a quella per Caio.
Avendo appurato che l'utilità di un oggetto non è una quantità misurabile/quantificabile [2], ne deriva che non può essere confrontata o sommata tra individui diversi (Tizio e Caio). Di conseguenza, i punti 2 e 3 sono privi di fondamento logico. La legge dell'utilità decrescente non può essere citata a favore della progressività fiscale.
Non si potrebbe allora immaginare una realtà parallela in cui l'utilità fosse misurabile e la funzione di utilità [3] fosse uguale per tutti gli individui? E, magari, non si potrebbe (grossolanamente) approssimare la nostra realtà ad essa? Purtroppo, si otterrebbe un risultato assurdo.
Seguendo questa logica, infatti, la società raggiungerebbe la massima utilità solo quando ciascuno possedesse la stessa quantità di denaro di tutti gli altri. Rispetto a tale situazione, aggiungere un euro a Tizio togliendolo a Caio ridurrebbe l'utilità complessiva, dal momento che l'aumento nella soddisfazione di Tizio sarebbe inferiore alla diminuzione nella soddisfazione di Caio. Ma, come dicevamo, si tratterebbe di una conclusione assurda dal punto di vista economico: chi sarebbe disposto a risparmiare, lavorare ed impegnarsi, se - anche senza fare nulla (o facendo poco) - ricevesse comunque la stessa quantità di denaro di tutti gli altri? Gli incentivi contano, come sappiamo. Si otterrebbe quindi una società più povera, dove l'utilità complessiva sarebbe inferiore a quella di una (normale) società diseguale.
A questo punto, lo statalista potrebbe comunque sostenere che sia meglio togliere un euro al ricco per darlo al povero: in fondo, anche se non si può quantificare quanto, è intuitivo che per il ricco cambi veramente poco tra avere un euro in più o in meno, mentre il povero avverta maggiormente la differenza. Un limite di questo ragionamento lo abbiamo appena visto: seguendolo coerentemente, si va verso una redistribuzione - totale o parziale [4] - che disincentiva dall'essere ricco (cioè dal produrre e/o risparmiare tanto) ed incentiva ad essere povero. Tali effetti, ovviamente, sono tanto maggiori quanto maggiore è la loro causa.
All'atto pratico, poi, si sta proponendo uno scenario fuorviante. Le misure redistributive non tolgono un euro al ricco Tizio per dare un euro al povero Caio; piuttosto, prelevano 10'000 € dal ricco Tizio per dare 1 € a 10'000 poveri Caio (o 1 milione di euro da Tizio per dare 100 € a ciascun Caio). Messa in questi termini, forse la manovra non è così indifferente per Tizio.
Dal momento che i "ricchi" sono pochi per definizione [5], per dare un euro ad ogni "non-ricco" bisogna prelevarne molti a ciascun "ricco". Quindi, da una prospettiva utilitaristica, il problema si complica e diventa sempre più arbitrario stabilire se l'operazione renda la società complessivamente più soddisfatta, oppure no.
In sostanza, il criterio della tassazione progressiva non si basa sulla teoria economica. Non può essere giustificato sulla base dell'utilità marginale decrescente (come abbiamo visto in questa puntata) né della propensione marginale al consumo (come spiegato in una puntata precedente).
Concludiamo allora dicendo le cose come stanno realmente: l'accanimento fiscale verso i presunti "ricchi" è dettato dal desiderio politico di far cassa senza perdere voti. Aumentando le tasse su tutta la popolazione, si scontenterebbero tutti i cittadini; viceversa, aumentandole solo su pochi individui e promettendo di usare quei soldi a beneficio degli altri, non si intacca il consenso elettorale del Governo [6]. Anzi: chi promette di prendere a Pietro per dare a Paolo può contare sull'appoggio di quest'ultimo...a maggior ragione se di Paolo ce ne sono tanti.
Weierstrass
[1] Già qui ci sarebbe molto da discutere. Poiché i "ricchi" ricevono dallo Stato gli stessi - spesso scadenti - "servizi" degli altri cittadini, dovrebbero pagarli quanto gli altri. Non di più, non di meno. In fondo, il costo dei servizi nel settore privato non varia in base al reddito dei consumatori; come regola generale, sarebbe logico che lo stesso principio si applicasse ai servizi forniti (imposti) dal settore pubblico.
[2] Al contrario, peso e lunghezza sono esempi di quantità misurabili, e infatti si misurano rispettivamente in kilogrammi e metri. Entro l'errore dello strumento utilizzato, il numero di kilogrammi o di metri misurati non dipende dalla persona che effettua la misura.
[3] La funzione di utilità, in questo caso, rappresenta il valore dell'utilità al variare della quantità di denaro posseduto. Nell'ipotesi che stiamo considerando, la funzione assume valori minori all'aumentare della quantità di denaro.
[4] A un certo punto, bisognerà chiedersi se togliere 1 € a chi ne ha X per darlo a chi ne ha Y sia davvero indifferente per il primo, e se ne valga davvero la pena.
[5] L'asticella che discrimina i "ricchi" dai "non-ricchi" viene convenientemente fissata nel punto che massimizza il consenso elettorale dato dal tassare i primi a (presunto) beneficio dei secondi. Se anche tutti i redditi e i risparmi incrementassero notevolmente, il numero di "ricchi" resterebbe uguale: verrebbero semplicemente alzate la soglie discriminanti di reddito e di risparmio. Chi percepiva redditi molto elevati negli anni '70, per esempio, non verrebbe più considerato ricco in base agli standard attuali.
[6] Al Governo non interessa avere l'appoggio di tutti gli aventi diritto di voto. Gli basta avere la maggioranza assoluta (o, in alcuni casi, anche solo quella relativa) dei votanti.
L'argomento che andiamo a considerare richiama la nota legge economica - "all'aumentare del consumo di un bene, la quantità di soddisfazione aggiuntiva va a diminuire" - per sostenere che i ricchi traggano "poca soddisfazione" dalla propria ricchezza (o, perlomeno, da una parte di essa), e che quindi la si possa redistribuire per aumentare la soddisfazione dei poveri. Vediamo i passaggi del ragionamento statalista:
- Ricevere un euro in più quando (per esempio) se ne hanno già 10'000 in tasca dà meno soddisfazione di ricevere un euro in più quando (per esempio) se ne hanno solo 10.
- Dare un euro in più a una persona ricca produce meno soddisfazione che darlo a una persona povera; viceversa, toglierlo a un ricco comporta meno insoddisfazione che toglierlo a un povero ("un euro aggiuntivo vale più per un povero che per un ricco").
- L'utilità/soddisfazione complessiva della società - cioè la somma delle utilità/soddisfazioni individuali - può essere aumentata togliendo soldi ai ricchi per darli ai poveri.
Cerchiamo di spiegare questi concetti in parole povere. Ogni individuo valuta e ordina i beni in base alle proprie preferenze (che ovviamente sono diverse da quelle degli altri individui). Tizio preferisce il gelato alla fragola rispetto a quello al cioccolato, ma non può quantificare quanto: non ha senso sostenere che, per lui, l'utilità del gelato alla fragola sia doppia o tripla rispetto a quella del gelato al cioccolato. Ancora più insensato sarebbe sostenere che l'utilità del gelato alla fragola per Tizio sia doppia o tripla rispetto a quella per Caio.
Avendo appurato che l'utilità di un oggetto non è una quantità misurabile/quantificabile [2], ne deriva che non può essere confrontata o sommata tra individui diversi (Tizio e Caio). Di conseguenza, i punti 2 e 3 sono privi di fondamento logico. La legge dell'utilità decrescente non può essere citata a favore della progressività fiscale.
Non si potrebbe allora immaginare una realtà parallela in cui l'utilità fosse misurabile e la funzione di utilità [3] fosse uguale per tutti gli individui? E, magari, non si potrebbe (grossolanamente) approssimare la nostra realtà ad essa? Purtroppo, si otterrebbe un risultato assurdo.
Seguendo questa logica, infatti, la società raggiungerebbe la massima utilità solo quando ciascuno possedesse la stessa quantità di denaro di tutti gli altri. Rispetto a tale situazione, aggiungere un euro a Tizio togliendolo a Caio ridurrebbe l'utilità complessiva, dal momento che l'aumento nella soddisfazione di Tizio sarebbe inferiore alla diminuzione nella soddisfazione di Caio. Ma, come dicevamo, si tratterebbe di una conclusione assurda dal punto di vista economico: chi sarebbe disposto a risparmiare, lavorare ed impegnarsi, se - anche senza fare nulla (o facendo poco) - ricevesse comunque la stessa quantità di denaro di tutti gli altri? Gli incentivi contano, come sappiamo. Si otterrebbe quindi una società più povera, dove l'utilità complessiva sarebbe inferiore a quella di una (normale) società diseguale.
A questo punto, lo statalista potrebbe comunque sostenere che sia meglio togliere un euro al ricco per darlo al povero: in fondo, anche se non si può quantificare quanto, è intuitivo che per il ricco cambi veramente poco tra avere un euro in più o in meno, mentre il povero avverta maggiormente la differenza. Un limite di questo ragionamento lo abbiamo appena visto: seguendolo coerentemente, si va verso una redistribuzione - totale o parziale [4] - che disincentiva dall'essere ricco (cioè dal produrre e/o risparmiare tanto) ed incentiva ad essere povero. Tali effetti, ovviamente, sono tanto maggiori quanto maggiore è la loro causa.
All'atto pratico, poi, si sta proponendo uno scenario fuorviante. Le misure redistributive non tolgono un euro al ricco Tizio per dare un euro al povero Caio; piuttosto, prelevano 10'000 € dal ricco Tizio per dare 1 € a 10'000 poveri Caio (o 1 milione di euro da Tizio per dare 100 € a ciascun Caio). Messa in questi termini, forse la manovra non è così indifferente per Tizio.
Dal momento che i "ricchi" sono pochi per definizione [5], per dare un euro ad ogni "non-ricco" bisogna prelevarne molti a ciascun "ricco". Quindi, da una prospettiva utilitaristica, il problema si complica e diventa sempre più arbitrario stabilire se l'operazione renda la società complessivamente più soddisfatta, oppure no.
In sostanza, il criterio della tassazione progressiva non si basa sulla teoria economica. Non può essere giustificato sulla base dell'utilità marginale decrescente (come abbiamo visto in questa puntata) né della propensione marginale al consumo (come spiegato in una puntata precedente).
Concludiamo allora dicendo le cose come stanno realmente: l'accanimento fiscale verso i presunti "ricchi" è dettato dal desiderio politico di far cassa senza perdere voti. Aumentando le tasse su tutta la popolazione, si scontenterebbero tutti i cittadini; viceversa, aumentandole solo su pochi individui e promettendo di usare quei soldi a beneficio degli altri, non si intacca il consenso elettorale del Governo [6]. Anzi: chi promette di prendere a Pietro per dare a Paolo può contare sull'appoggio di quest'ultimo...a maggior ragione se di Paolo ce ne sono tanti.
Weierstrass
[1] Già qui ci sarebbe molto da discutere. Poiché i "ricchi" ricevono dallo Stato gli stessi - spesso scadenti - "servizi" degli altri cittadini, dovrebbero pagarli quanto gli altri. Non di più, non di meno. In fondo, il costo dei servizi nel settore privato non varia in base al reddito dei consumatori; come regola generale, sarebbe logico che lo stesso principio si applicasse ai servizi forniti (imposti) dal settore pubblico.
[2] Al contrario, peso e lunghezza sono esempi di quantità misurabili, e infatti si misurano rispettivamente in kilogrammi e metri. Entro l'errore dello strumento utilizzato, il numero di kilogrammi o di metri misurati non dipende dalla persona che effettua la misura.
[3] La funzione di utilità, in questo caso, rappresenta il valore dell'utilità al variare della quantità di denaro posseduto. Nell'ipotesi che stiamo considerando, la funzione assume valori minori all'aumentare della quantità di denaro.
[4] A un certo punto, bisognerà chiedersi se togliere 1 € a chi ne ha X per darlo a chi ne ha Y sia davvero indifferente per il primo, e se ne valga davvero la pena.
[5] L'asticella che discrimina i "ricchi" dai "non-ricchi" viene convenientemente fissata nel punto che massimizza il consenso elettorale dato dal tassare i primi a (presunto) beneficio dei secondi. Se anche tutti i redditi e i risparmi incrementassero notevolmente, il numero di "ricchi" resterebbe uguale: verrebbero semplicemente alzate la soglie discriminanti di reddito e di risparmio. Chi percepiva redditi molto elevati negli anni '70, per esempio, non verrebbe più considerato ricco in base agli standard attuali.
[6] Al Governo non interessa avere l'appoggio di tutti gli aventi diritto di voto. Gli basta avere la maggioranza assoluta (o, in alcuni casi, anche solo quella relativa) dei votanti.
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